De Tomaso Mangusta

di Filippo Miotto, pubblicato il 31 luglio 2021.

Negli anni ’90 del secolo scorso un giorno scoprii che, con una deviazione non proprio piccola nel tragitto scuola-casa, potevo passare davanti ad un concessionario di auto usate che esponeva, in un angolo di una delle sue tante vetrine, una De Tomaso Mangusta di colore chiaro. L’auto era incredibile! La linea filante tesa con un tratto unico e quei 4 fari tondi bassissimi, su una carrozzeria che già di per se era bassissima, mi convinsero a rendere un’abitudine la deviazione scoperta per caso.

L’auto, di per se, presenta dei canoni stilistici propri di molti modelli di auto supersportive prodotte a cavallo degli anni ’70, con questi cofani lunghissimi, lunotti posteriori sfuggenti e le ruote posteriori di diametro differente da quelle anteriori. Se vengono esaminate con un po’ più di attenzione queste supercar italiane, De Tomaso Mangusta compresa, riprendono uno stile molto muscle car americana, probabilmente con lo scopo di assicurarsi una buona popolarità anche su quel mercato.

Chiarito il perchè della decisione di iniziare la parte dedicta alle monografie proprio dalla Mangusta, passerei ora direttamente a descrivere il modello e la sua storia…

La Mangusta è l’unico animale in grado di vincere il Cobra

Prima di ogni ulteriore approfondimento, è giusto capire l’origine del nome.

Come indicato dallo stesso Alejandro De Tomaso alla presentazione del modello nel 1967 a New York, il nome “Mangusta” è stato voluto in quanto identifica l’unico mammifero in grado di combattere con un serpente Cobra, vincere e mangiarselo. Il nome sembra quindi essere stato scelto per evidenziare le doti di agilità, potenza e affidabilità di un’auto che, messa alla prova, avrebbe sempre vinto ogni sfida. Probabilmente questo è uno dei motivi… ma in realtà il significato vero e proprio cela la sfida ormai aperta tra De Tomaso e Carroll Shelby, dato che quest’ultimo abbandonò la collaborazione con la casa italo-argentina per dare vita alla Ford GT40.

La collaborazione tra i due geni dei motori era nata alcuni anni prima con l’intento di realizzazione della sportiva P70 (conosciuta anche come De Tomaso Sport 5000 Fantuzzi Spider) con la quale attaccare il mercato americano.

Il modello, rimasto alla fine al livello di prototipo, venne sviluppato con i migliori propositi, grazie alla collaborazione tra Shelby e De Tomaso a cui si aggiunse anche il disegnatore Pete Brock che Shelby riusci a “rubare” al centro stile di General Motors. L’unico prototipo realizzato, dei sei previsti, doveva montare un motore da corsa 4.7 V8 Ford da 475 Cv e adottare il telaio monotrave in alluminio già collaudato con la De Tomaso Vallelunga stradale. L’auto presentava novità interessanti, inserite anche grazie alla collaborazione con il carroziere emiliano Fantuzzi, come l’ala posteriore regolabile per migliore le doti aerodinamiche in marcia.

Grandi ambizioni erano poste da De Tomaso nel modello. Purtroppo la non ammissione alla 24 ore di Le Mans del 1966 e l’abbandono di Shelby a favore del progetto di Ford, fecero archiviare il progetto P70, portando De Tomaso a concentrarsi sul modello successivo, la Mangusta, con il quale attaccare il mercato americano.

E il progetto non venne così portato a termine.

La Linea.

Il design della Mangusta complessivo venne curato da Giugiaro che scelse una linea complessiva molto bassa, 1100 mm di altezza, un cofano lunghissimo e una fiancata molto pulita e tesa che faceva sembrare l’auto molto più grande delle dimensioni reali. L’auto infatti ha una lunghezza di soli 4275 mm per 1834 mm di larghezza, anche se sembrano molti di più.

Il corpo vettura si presenta come una coupè due porte e due posti, con apertura tradizionale delle portiere, ma con il cofano motore che adotta l’interessante novità di avere l’apertura ad ali di gabbiano. Non sono presenti spoiler o alettoni, mantenendo tutta la linea estremamente pulita. Le immagini che vi propongo sono state tratte dalla brochure originale della vettura, disponibile sul sito ufficiale della rinata De Tomaso Automobili.

Le uniche feritoie presenti sono quelle all’inizio del cofano motore posteriore, poste all’altezza dei finestrini fissi dell’abitacolo, che vano a chiudere la linea laterale che disegna il profilo anteriore e la linea inferiore dei finestrini laterali. Questo tipo di desgin verrà poi adottato su molti modelli dell’epoca e successivi, sia italiani che stranieri.

Puntualizzerei di nuovo l’attenzione sul cofano motore con la sua particolare apertura, probabilmente poco pratico in fase di intervervento, ma certamente molto scenico. Ora, come allora, le auto devono essere riconoscibili a colpo d’occhio e, sia aperte sia chiuse, devono essere apprezzate.

L’abitacolo.

L’auto nasceva con l’intento del costruttore di vendere delle auto da corsa omologate per la strada e, seguendo questo principio già adottato per la Valleleunga, venne scelto di definire un abitacolo che mantenesse, con il giusto equilibrio, delle caratteristiche di spartanità tipiche degli interni delle vetture da corsa, ma con qualche comfort in più.

Interni della De Tomaso Mangusta. Fonte: Motoristorici.

Il risultato ottenuto mi sembra però del tutto diverso dall’essere minimalista e spartano. Sedili sportivi (almeno per gli anni ’60-’70), rivestimento in pelle ovunque e cruscotto costituito da una fascia unica praticamente verticale in cui è presente tutta la strumentazione necessaria. L’impatto visivo è imponente, soprattutto grazie al tunnel centrale importante con la leva del cambio con impugnatura all’altezza giusta per le cambiate veloci.

La Tecnica: il Motore e il Telaio.

L’auto presenta delle caratteristiche tecniche che, per i tempi, rappresentavano una vera e propria innovazione. Innanzitutto partiamo dal telaio monotrave in alluminio che venne ripreso dalla Valleleunga, associato ad un motore montato in posizione posteriore longitudinale, con funzione semi-portante, ripreso dalle auto da competizione del tempo e che, per la prima volta, veniva utilizzato in un’auto gran turismo.

Il motore è di derivazione Ford. Più precisamente la Mangusta monta un motore Ford V8 aspirato da 4,728 cm3, montato in posizione posteriore centrale longitudinale, dotato di due valvole per cilindro e carburatori Weber. L’unità è in grado di sviluppare ben 306 CV a 6’100 giri/minuto, con limite a 6’800 giri/minuto. Il telaio prevedeva un sistema di sospensioni a ruote indipendenti e un impianto frenante affidato a 4 dischi. Il peso ridotto di tutto il corpo vettura, pari a soli 1’300 kg, e il cambio manuale a 5 rapporti della ZF (ZF Product Range of Cars), permettevano prestazioni notevoli: 250 km/h di velocità massima e una accelerazione di 5.9 secondi per lo scatto 0-100 km/h.

L’auto su strada presentava però alcune problematiche dovute alla gestione della motricità rispetto alla distribuzione dei pesi. Come riportato sulla rivista “Automobilismo“, la posizione del motore e la tipologia di telaio utilizzato hanno comportato una distribuzione dei pesi pari al 32% all’anteriore e al 68% al posteriore che creava alcuni problemi nella gestione delle potenze da trasmettere a terra e nelle doti di danimicità complessivi. Il passo ridotto e le dimensioni contenute in lunghezza, che avrebbero promesso agilità elevata tra le curve, non furono così seguiti da una buona distribuzione dei pesi. Vennero tentati alcuni accorgimenti, come abbassare la posizione del motore e utilizzare materiale più leggeri, ma il risultato poco cambiò.

Nonostante queste problematiche, a livello di numeri puri di velocità e scatto, l’auto riusciva a competere con le rivali sportive dell’epoca, addirittura superandole in alcuni casi, e a fronte di un prezzo molto più competitivo.

Le diverse versioni.

Come succede spesso per molte auto sportive, vengono realizzate versioni speciali su richieste specifiche di qualche cliente o per adattarle alle specifiche richieste dei mercati nei quali vogliono essere commercializate.

Per la De Tomaso Mangusta esistono alcune versioni speciali dei 401 esemplari prodotti, in particolare meritano di essere ricordate quelle proposte sul mercato degli USA dove divenne in breve tempo un’icona delle auto sportive.

La versione proposta sul mercato americano si differenzia in due particolari. Prima di tutto il motore che, pur restando di derivazione Ford, viene in questo caso aumentato di cilindrata, portandolo ai 5 litri, ma viene ridotta la potenza, che ora vanta solo 220 CV. Esteticamente, pur non presentando nel complesso la stessa linea, la De Tomaso dovette intervenire sul sistema di fari anteriori.

La normativa americana, infatti, prescriveva delle altezze da terra specifiche epr la fanaliera che non venivano rispettate dalla versione iniziale. Per questo motivo (purtroppo) venne deciso di ridurre i fari a 2 invece dei 4 originali. I due fari proposti erano più grandi e basculanti.

L’ultima versione speciale che vi presento (per dettagli maggiori vi rimando ai siti di ReportMotori, di FormulaPassion e di Carscoops) in realtà è la prima versione/prototipo che venne presentato da De Tomaso a Ford nel 1966.

L’auto, battezzata De Tomaso Mangusta Shelby MKV, venne proposta come vettura sostitutiva della Ford GT40. A differenza del modello che entrò poi in produzione l’anno dopo, la versione “Shelby” era caratterizzata da due strisce “racing” che percorrevano l’auto per tutta la sua lunghezza, dalla fanaliera anteriore a quella posteriore, e da una presa d’aria laterale, appena di fronte alle ruote posteriori, che le conferivano un’impronta ancora più corsaiola, come del resto doveva essere. Shelby poi decise di dedicarsi del tutto al progetto GT40 e Ford non diede seguito alle aspettative di De Tomaso, ma di questo ne abbiamo già parlato…


Pubblicato il 31/07/2021 da Filippo Miotto.

4 pensieri su “De Tomaso Mangusta

  1. Un bell’articolo, è stato un piacere leggerlo mentre guardo un episodio di un programma tv in cui stanno restaurando una Mangusta.
    Il modo in cui hai avuto il tuo primo incontro con una Mangusta, la sua casualità, mi ha fatto ripensare a quella volta che, in una pedalata intorno a Torino, mi trovai davanti ad un capannone in cui stavano preparando delle carrozzerie della Fiat X1/9, forse dalle parti di Borgaro.

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    1. Grazie Claudio.
      Questi incontri fortuiti spesso ci fanno percepire quello che ci sta intorno in modo diverso. Come è stato anche per te con la X1/9, credo che l’essere sovrapensiero ci permette di individuare subito quei dettagli che ci fanno apprezzare, nel nostro caso, un determinata auto rispetto ad un’altra.

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