di Filippo Miotto, pubblicato il 05 marzo 2023.
Tutta una questione di definizioni.
Si parte proprio da una definizione e da una sigla, o acronimo per essere più precisi.
La sigla GT identifica, ormai da molti decenni, le auto della tipologia Gran Turismo. Non serve essere esperti di auto per sapere che qualsiasi veicolo, quando può sfoggiare quelle due lettere vicino al nome, ha normalmente delle prestazioni sportive. Queste, più o meno esagerate, devono però conciliarsi con una dinamica di guida che possa soddisfare anche criteri di comodità.
Questa categoria di auto, che negli anni ’80 del secolo scorso cominciarono a essere presenti praticamente nei listini di ogni casa automobilistica, ha radici a metà del secolo scorso quando la clientela che acquistava normalmente auto sportive, votate alla pista e non certo al comfort di marcia, chiesero una tipologia di veicolo sempre estremo, ma più appagante sotto altri punti di vista.

Nel 1961 la FIA iniziò così a regolamentare queso settore definendo, grazie all’Allegato J del suo regolamento, che le
“… auto Gran Turismo sono veicoli prodotti in piccole serie per clienti che ricercano migliori prestazioni e/o il massimo comfort e non sono particolarmente preoccupati del costo. Questo tipo di vetture dovrà essere conforme ad un modello definito in un catalogo ed offerto ai clienti tramite il Reparto Vendite della Casa costruttrice. …”

Poche indicazioni sono presenti nel regolamento, ma nulla che le possa chiaramente identificare in base ad una forma, dimensioni, tipologia di motore. A differenza di auto come le spider, i coupè o simili, non sono definite caratteristiche univoche, e così resterà anche negli anni successivi.
La necessità di definire delle caratteristiche, ai tempi della emissione dell’appendice J, nasceva per iniziare a regolamentare un mercato in cui, negli anni ’50 del secolo scorso, avevano cominciato ad affacciarsi auto di questo tipo. Esisteva, infatti, una clientela piuttosto ristretta che apprezzava le auto sportive ad alte prestazioni ma che, con queste, non voleva di certo limitarsi a pochi chilometri fatti magari in pista, ma voleva utilizzarle anche come delle normali auto, magari per farci delle lunghe vacanze, raggiungere le proprie case in campagna o muoversi in tranquillità anche in condizoni più stndard ed estranee ad una pista (fonte: formula passion). Se poi si presentava l’occasione, la stessa auto poteva essere scatenata su strada, mostrando tutto il suo potenziale corsaiolo.
Nonostante molti modelli adottarono la sigla GT, creando un po’ di confusione al riguardo, ad oggi il gruppo delle Gran Turismo risulta essere ben definito e distinto in due linee di pensiero.
Da un lato ci sono auto con carrozzeria coupè, normalmente a 2 posti o al massimo 2+2, con una linea filante molto aerodinamica, abitacoli arretrati per far fronte a musi anteriori piuttosto importanti, e difficilmente gravate da appendici aerodinamiche invadenti, a meno che non siano versioni speciali. Queste sono le Gran Turismo più apprezzate, caratterizzate da motori molto potenti, a cui fanno seguito cilindrate normalmente elevate, e prezzi di acquisto altrettanto importanti. Non sono di certo prodotti di massa, ma, seppur realizzate in quantitativi apprezzabili, restano appannaggio di pochi fortunati.
Da un altro lato, invece, la sigla GT viene anche utilizzata per identificare la versione sportiva di auto di varia tipologia, dalle berline alle utilitarie alle familiari, che vengono opportunamente “vitaminizzate” per garantirle prestazioni di tutto rispetto. I costi di queste sono molto ridotti rispetto alla tipologia precedente, le potenze e le cilindrate sono contenute, ma non per questo sono da sottovalutare, anzi, in alcuni casi hanno mostrato delle doti dinamiche su strada da renderle apprezzabili per la guida di tutti i giorni quando si vuole quel pizzico di adrenalina in più. Ottimo!
Una nota deve però essere fatta prima che proseguiate a leggere l’articolo. Tanti, infatti, sono i modelli che possono (o vorrebbero) vantarsi di questa sigla. In questo caso mi voglio concnetrare su una particoalre sfida, quella italo-inglese in cui le maggiori case automobilistiche, votate alla sportività e alle competizioni, decisero di affrontare, forse indirettamente, per poter presentare sempre qualcosa di nuovo in questo settore.
Vediamo finalemnte insieme cosa vi propongo nell’articolo:
Le prime GT
Dato che si è parlato di una storia lunga ormai oltre 70 anni, viene naturale chiedersi quale è stata la prima auto a poter sfoggiare l’appellativo di Granturismo?
Provate a pensare… No! Sbagliato! Provate ancora… Dai, non è difficile! Di modelli con questo nome ne ha presentati tanti… Esatto, proprio lei!
Le Italiane
La Casa del Tridente di Modena, la nostra cara Maserati, è statala prima casa automobilistica a capire che il piacere di guidare un’auto supersportiva doveva essere provato anche fuori da un circuito. La Maserati A6 1500, presentata per la prima volta al Salone dell’Automobile di Ginevra del 1947,fu la prima vera Granturismo. Il nome è un tributo ad Alfieri Maserati (la “A” è in suo onore) e al numero di cilindri del suo motore, appunto 6, tutti rigorosamente in linea (fonte: Maserati).



L’idea di un’auto di questo tipo prese vita alcuni anni prima, nel 1941, quando in Maserati iniziarono a lavorare su un modello stradale dalla 6CM, con motore a testa fissa e doppio albero a camme (fonte: Ruoteclassiche Quattroruote).
Il suo design incredibile fu opera del famoso disegnatore Pininfarina.
La sua produzione fini dopo solo 4 anni e 58 esemplari. Numeri importanti, comunque, tenendo conto degli anni del dopoguerra in cui venne sviluppata e dell’elevata artigianalità/esclusività del modello. Proprio da questo punto di vista si deve evidenziare l’importanza del modello, capostipite della serie di vetture che lanceranno Maserati nel club delle auto sportive di lusso, praticamente inventando il settore Granturismo.
Più o meno negli stessi anni, un’altra casa che introdusse la formula “GT” fu la Lancia. Questa marca italiana, che ora propone solo utilitarie, ai tempi era ancora nel pieno delle sue energie e all’avanguardia nell’innovazione motoristica. Fu lei a proporre sul mercato una nuova tipologia di veicolo, praticamente una 2+2 posti, coupè, con motore e telaio per alte prestazioni ma, soprattutto, comoda anche per lunghi tragitti. Era nata la Lancia Aurelia B20 GT (fonte: FCA Heritage).



Prima auto a montare un motore V6, grazie al genio dell’ingegnere Francesco De Virgilio, ebbe anche un notevole successo commerciale.
Prodotta dal 1951 al 1958 vanta ben 6 versioni diverse, a cui contribuirono anche alcuni dei maggiori carrozieri italiani del tempo, da Vignale a Boano a Pininfarina. Oltre a questo bisogna annoverare diversi risultati sportivi nazionali e internazionali tra cui, forse la più importante per i tempi, partecipazione alla 1000 Miglia.
Nel 1950 il connubio Ferrari con Pininfarina portò alla nascita della Ferrari 250 GT, presentata al Salone di Parigi del 1954. Di certo non potevano tirarsi indietro e perdere il confronto con Maserati e Lancia.



L’auto rappresenta una svolta nella casa di Maranello dato che si voleva unire alle prestazioni anche il comforti di marcia, in puro spirito GT, per l’appunto. Le prestazioni erano garantite dal motore V12 di tre litri in grado di erogare una potenza di 220 CV per una velocità massima di circa 230 km/h (fonte: Ferrari).
Tanti altri i modelli Ferrari del tempo, ma lascio a voi la loro scoperta (poi fatemi sapere cosa avete scoperto!)
Abbiamo citato Ferrari, quindi non possiamo di certo astenerco dal citare Lamborghini. Proprio in quegli anni nasceva la sfida tra i due costruttori che, in seguito ad un diverbio, portarono Ferruccio Lamborghini a proporre la sua prima auto, la 350 GT (fonte: Lamborghini).



Prima Lamborghini a entrare ufficialmente in produzione, GT 350 fu ealizzata dalla Carrozzeria Touring in 120 unità, di cui la maggior parte dotate del motore 12 cilindri da 3,5 litri e 320 CV. L’auto nasceva, come la leggenda vuole, per sopperire a delle mancanze che le Ferrari dell’epoca avevano dal punto di vista meccanico, almeno a livellod el cambio. Il costruttore della casa del Toro, che di motori e veicoli sottoposti a sollecitazioni e stress ne sapeva qualcosa, vista la sua esperienza nei mezzi da lavoro, propose questo veicolo, lanciandosi così nella produzione delle auto supersportive, come tutti conosciamo ancora oggi.
Ad eccezione di questa vettura, la sua esperienza delle GT si può benissimo affermare che finisce quì. I modelli successivi erano più votati alla sportività pura, con poca attinenza all’equilibrio tra prestazioni e comodità che le Gran Turismo dovrebbero garantire.
Le inglesi
Ormai i tempi sono maturi e tutte le case automobilistiche iniziano a inseguirsi in questo nuovo settore. Tanti gli esempi e tanti i modelli ancora oggi indimenticabili.
All’estero i produttori di bolidi da pista non mancano di certo, così anche loro si piegano alle nuove esigenze del mercato. Tra tutte vorrei ricordare la Aston Martin, con il loro modello di punta, per gli anni ’60, la famosa AM DB4. Nonostante siano già presenti i modelli DB 2/4 e DB MKIII, primi tentativi degli anni ’50 di creare delle GT, la DB4 rappresenta la prima vera Gran Turismo della Casa Inglese, tipologia sulla quale realizzerà le sue fortune (fonte: Ruoteclassiche). Attualmente, infatti, si può asserire che la Aston Martin ha ormai da anni a listino esclusivamente delle GT, salvo casi eccezionali.
Ma torniamo alla DB4.



Aston Martin iniziò a lavorare al progetto della DB4 nel 1956, sviluppandolo insieme a quello della DB Mark III. Nel progetto della DB4 furono coinvolte personaggi come lo stesso General Manager John Wyer, con il telaio sviluppato da Harold Beach, mentre al motore lavorava Tadek Marek. Per garantire un prodotto veramente nuovo, che andasse a soddisfare la nuova clientela che si voleva conquistare, gran parte dei componenti della DB4 furono sviluppati completamente da zero.
Come succederà poi anche per molti altri modelli, la carrozzeria venne sviluppata e progettata dalla Carrozzeria Touring di Milan. La vettura potè così vantarsi dell’innovativo metodo di costruzione da loro adottato e denominato ‘Superleggera’. Esso prevede l’utilizzo di pannelli di alluminio sostenuti da una leggera intelaiatura in acciaio saldata al telaio. Il motore, un DOHC a 6 cilindri in linea da 3670 cm3 per oltre 240 CV di potenza, permetteva all’auto uno scatto da 0-100 in meno di 9 secondi, con valori prestazionali totali da renderla competitiva in strada come su pista.
Altra inglese e altra storia di GT. Questa volta ci spostiamo in casa Jaguar per la sua icona più rappresentativa, la Jaguar E-Type (fonte: Jaguar Heritage, Motor 1, Collectible Wheels).
Entrata in produzione nel 1961, dopo essere stata presentata al Salone di Ginevra dello stesso anno, l’auto si presentava sia in veste di coupè sia di roadster. Impressionanti furono per l’epoca le sue linee, con un muso affilato e lunghissimo, con un abitacolo raccolto a ridosso delle ruote posteriori.


Rimasta in produzione perfino al 1975, presentava fin dalla prima serie delle innovazioni tecnologiche che la resero sempre un punto di riferiemnto per la categoria nella sua lunga carriera. Le 3 serie totali prodotte furono sempre oggetto di aggiornamenti importanti, non solo dal punto di vista del motore, che passò da un 3.8 litri 6 cilindri fino al V12 di 5.3 litri per 272 CV dell’ultima serie del 1971, ma anche dal punto di vista di telaio, sospensioni e freni.
In Italia siamo affezionati a quest’auto anche per la sua presenza costante nel fumetto Diabolik (fonte: Jaguar, Diabolik Official Web Site), nella sua versione coupè, rigorosamente nera e rigorosamente inafferrabile!
La rincorsa ai modelli GT
Tutti vogliono le GT. Ormai questo è l’imperativo. Il mercato sembra gradire ed apprezzare molto questa tipologia di veicoli, tanto da indurre ogni Casa Automobilistica a tentare la fortuna in questo settore.
Come specificato prima, però, c’è da distinguere tra GT e GT. Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso questa sigla è però ancora riservata ad auto molto potenti e costose. A farla da padrone, in questo caso, è la nostra Maserati che sforna una serie di veicoli che fissano sempre di più nuovi dettami per questa tipologia di automobili. I nomi sono importanti (fonte: Maserati) e vanno dalle Sebring, Mistral, Ghibli, fino alla Merak. Tantissimi modelli che meriterebbero una storia a parte solo solo.




Restando in ambito italiano deve assolutamente essere citata la Regina di questo settore, la Ferrari 250 GTO, una delle auto entrate nell’olimpo delle più belle (fonte: Ferrari). Dotata di un V12 da 221 kW, posizionato all’anteriore, poteva raggiungere i 280 km/h, sbaragliando gran parte della concorrenza.

Linee già viste, ma che vennero disegnate attorno al suo V12 per renderle uniche. Alcuni dettagli erano molto particolari e curiosi, come le varie aperture sul cofano chiudibili, necessarie a far arrivare aria ai carburatori. In questo modo si poteva favorire o meno la potenza del motore stesso e rendere l’auto più docile, se così si può dire, per un giro fuori porta o più cattiva per scatenarsi in pista.
Per tovare delle degne avversarie bisogna sempre affacciarsi al mercato inglese, dove Aston Martin e Jaguar riescono seriamente ad impensierire le marche italiane. Modelli come le DB5 nelle sue varianti o le XJS di Jaguar iniziano a tracciare la strada verso le Gran Tursimo degli anni ’80 e ’90, dove le linee più classiche iniziano a fare spazio a linee più moderne (fonte: Ruote da Sogno, Motor 1).



Aston Martin propone, sempre negli anni ’60, la variante DB4 Zagato (fonte: Adrenaline 24h) ottenuta in collaborazione con il carroziere italiano, da molti ritenuta l’unica vera avversaria della Ferrari 250 GTO.

Dotata di un telaio alleggerito e di alcuni interventi migliorativi, riuscì ad ottenere impressionanti risultati in termini di prestazioni. I 19 esemplari costruiti, dotati del 6 cilindri in linea, garantivano uno scatto 0-100 km/h in meno di 6 secondi e velocità di punta superiori ai 250 km/h.
I tempi ormai stanno cambiando e anche nel Regno Unito, come sta succedendo in Italia, stanno per arrivare nuovi modelli e nuove linee in netto distacco dalle precedenti.
La Aston Martin DBS inizia a tracciare questa distinzione. Il suo motore di punta era un V8 da 5.4 litri in grado di erogare 320 CV che, associati ad un corpo vettura non troppo leggero, parliamo infatti di oltre 1700 kg, potevano comunque permetterle uno 0-100 km/h in circa 6 secondi (fonte: Aston Martin).


Si iniziano a notare linee più vicine alle muscle car americane, ma che la fecero comunque apprezzare anche nel vecchio continente.
Anche lei, come tradizione vuole, divenne una “Bond Car”, da ammirare nella versione “Saloon” (fonte: Aston Martin) in cui il V8 raggiungeva ormai i 432 CV. Siamo però ormai giunti a cavallo degli anni ’80.
Tra poco tutto sarebbe cambiato.
Di Filippo Miotto, pubblicato il 05 marzo 2023.