Di Filippo Miotto. Pubblicato il 08 aprile 2023.

La GT americana che poteva essere italiana ma che diventò inglese.
La Ford GT40, icona del mondo dei motori degli anni ’60 del secolo scorso, è uno di quei modelli che meglio ha interpretato lo scontro tra due mondi e due filosofie diverse di concepire il mondo dell’automobile, racchiudendo in essa lo scontro/incontro tra un colosso industriale e la realtà artigianale dei motori. Nata come GT ha avuto un rapporto complicato, ancora prima di nascere, con due simboli del nostro paese: Ferrari e De Tomaso. La sua storia, continuando nel tempo, diventò vanto degli Stati Uniti dei grando numeri anche se si basò, per la sua realizzazione, sull’esperienza e sulla maestria dei piccoli produttori di auto da corsa inglesi.
La storia del modello che vi racconto è quindi una storia tutta americana? E’ americana perché la casa automobilistica a cui appartiene è il simbolo statunitense dei motori fin dalla nascita del concetto di automobile. E’ americana perché era nata per essere l’auto che poteva vincere nelle varie competizioni internazionali, sfidando altri mostri sacri dell’automobilismo, come Porsche, Jaguar e Aston Martin (fonte: The Driver), vanto per quell’amor di patria che tutti abbiamo. Ma rimane pur sempre legata al mondo inglese, per la tecnologia in essa nascosta, e al mondo italiano per la rivalità .
Il gigante automobilistico contro i piccoli produttori iper specializzati. La ricerca dell’esagerazione contro la ricerca della perfezione tecnologica.
Ecco la sua storia:
- La GT americana che poteva essere italiana ma che diventò inglese.
- Che tutto abbia inizio!
- Il GT program book e i suoi protagonisti.
- Auto pronta. Si scende in pista con la MK1.

Che tutto abbia inizio!
Siamo nei primi anni ’60 del secolo scorso.
Le competizioni del motorsport stanno riscuotendo sempre più successo in termini di pubblico, con ingenti capitali che iniziano a ruotare intorno ad esso. Le Case Automobilistiche che partecipano ai più diversi campionati sono di ogni tipologia, spaziando da chi costruisce vetture a livello ancora artigianale, fino ad arrivare ai grandi produttori mondiali. La divisione tra le competizioni e le categorie è ormai molto simile a quella attuale. In quelle dove gareggiano auto da strada mascherate da auto da pista (o il contrario?) stanno riscuotendo molto successo le versioni a “lunga durata”. Queste sono gare lunghe che arrivano a durare fino a 24 ore e richiedono vetture dotate di meccanica tenace e strategie di gara molto particolari. Nel mercato automobilistico elitario, inoltre, molti possibili compratori sono attratti da queste automobili e vorrebbero acquistare la stessa vettura che vedono in pista, ma “addolcita” per essere gestita anche in un uso più quotidiano.
Proprio in questi anni la stessa FIA inserisce la definizione Gran Tursimo tra le proprie auto, ufficializzando un settore di auto supersportive che ancora adesso affascina e attrare clienti e sogni di molte persone (fonte: LeggendAuto). Acquirenti e venditori siete stati avvisati! Volete entrare nell’olimpo delle supersportive? Allora in listino o nei vostri garage dovete avere per forza una GT!




Primo tentativo: accordiamoci con Ferrari.
L’America dei grandi numeri iniziò, così, a guardare con ammirazione ad un’area geografica molto lontana, oltre oceano, dove da ormai decenni si costruiva l’eccellenza dell’automobilismo mondiale. Questo luogo si trovava in Italia, paese già ammirato per la sua storia, la sua arte e la sua architettura, ma che era anche conosciuto per i suoi motori. In particolare, un lembo di terra ben delimitato nella pianura padana, creava ormai da anni delle automobili ad alte prestazioni che, oltre a vincere nelle varie competizioni internazionali, avevano un grande fascino intrinseco, tanto che le loro equivalenti stradali erano in grado di suscitare ammirazione tra i più raffinati estimatori.
In questo luogo, chiamato Terra dei Motori (fonte: LeggendAuto), c’erano delle case automobilistiche che attiravano l’attenzione del colosso Ford indotto a pensare che, associando la loro esperienza e preparazione ai capitali che poteva mettere a disposizione, avrebbero potuto creare insieme l’auto perfetta, sia per la pista sia per la strada.
La casa automobilistica Ford Motor Company, in quegli stessi anni della nascita delle Gran Turismo, voleva inoltre prepotentemente creare un’auto in grado di vincere dentro e fuori dai circuiti. In particolare, voleva creare un’auto che vincesse, senza se e senza ma, le gare di durata, da Sebring a Le Mans. Queste erano competizioni veramente pesanti. A differenza di altre competizioni brevi, le gare su più ore erano delle vere e proprie torture per le auto e per i loro piloti, richiedendo anche lo studio di tattiche di gara particolari. Da un punto di vista meccanico, però, potevano essere di grande aiuto per i produttori. Ogni competizione era un banco di prova di grande valore e, dal punto di vista del mercato, chi non avrebbe voluto possedere un’auto sportiva in grado di reggere tutte quelle ore al massimo? Uno strumento pubblicitario senza eguali!
Ricapitoliamo il pensiero di Ford: mi serve una GT a listino, devo vincere le gare di durata con un’auto derivata da questa GT, guarda caso la Casa Automobilistica Ferrari, in Italia, ha bisogno di un piccolo aiuto finanziario. Sembra tutto fatto! Ford tenta di acquistare Ferrari, proprio quella casa che, tra Formula 1 e gare di durata, predomina il mondo del motorsport.
Ferrari venne scelta per la sua storia fatta di successi, conquistati uno dietro l’altro. A partire dal 1949, con il debutto e la vittoria a Le Mans, la casa del Cavallino mostrò subito il suo carattere entrando di fatto nell’olimpo anche delle gare di durata (fonte: La Gazzetta dello Sport).
Discutevano, tentavano l’accordo, ma nulla. All’alba del 22 maggio 1963 (vabbè, magari non era proprio l’alba) uscì questo breve comunicato stampa:
“Ford Motor Company and Ferrari wish to indicate, with reference to recent reports of their negotiations toward a possible collaboration that such negotiations have been suspended by mutual agreement.”
Di comune accordo Ford e Ferrari annunciarono che i tentativi di collaborazione che avevano intrapreso erano stati sospesi (fonte: Ford). Il “comune accordo” è un po’ un eufemismo in realtà.
Non era una rinuncia a iniziare l’avventura nelle gare di durata ma anzi, forse, l’inizio di una vera e propria competizione tra i due costruttori.
Il GT program book e i suoi protagonisti.
La trattativa era stata sospesa, ma Ford voleva a tutti i costi creare la sua auto e vincere. Un mese dopo venne costituita la
“Unità operativa per modelli speciali e ad alte prestazioni”
con la missione di progettare e costruire
“Un’auto GT da corsa che avrà il potenziale per competere con successo nelle principali gare su strada come Sebring e Le Mans“.
Come nei migliori film di spionaggio, il 12 giugno del 1963 venne istituito in gran segreto il “Libro del programma GT”. Il lavoro dell’unità era stato avviato e codificato. Era nato ufficialmente il progetto GT. Il team contava nomi di rilievo, in grado di portare a conclusione il progetto di un’auto ad elevate prestazioni in grado di stupire il mondo. Poteva infatti contare sull’esperienza di Roy Lunn di Ford (prima foto, fonte: Automotive Hall of Fame), che aveva già sviluppato un progetto preliminare nel GT Program Book, e sulle capacità tecniche di Carroll Shelby (seconda foto, fonte: Shelby Italia, Ruoteclassiche).


All’inizio dell’articolo raccontavo la doppia sfida con i costruttori italiani di supercar, storia che si ripresenta anche in questo caso. Carroll Shelby, infatti, appena prima di essere coinvolto nel progetto GT40, stava per vivere un’avventura tutta italiana, o quasi. Con Ford, come fornitore di motori, De Tomaso stava per costruire la sua prossima supercar che avrebbe dovuto essere, guarda caso, proprio quella che in america sarebbe diventata la GT40. Lo so, un pensiero un po’ contorto che va spiegato meglio.
Shelby stava lavorando con Alejandro De Tomaso, l’argentino che aveva scelto la Motor Valley per la sua casa automobilsitica, allo sviluppo di una supercar. De Tomaso utilizzava già motori V8 di origine Ford e, probabilmente, se il progetto e l’accordo fosse andato a buon fine, l’auto sarebbe diventata l’auto che la Casa Automobilistica americana avrebbe schierato nei campionati di durata diventando la sua GT, quella che noi conosciamo come GT40, per l’appunto. Successe, invece, che Shelby cedesse alle lusinghe Ford, abbandonando il progetto di De Tomaso. Quest’ultimo non si perse di certo d’animo. Dopo qualche anno propose al pubblico la sua creazione, la Mangusta, l’unica auto in grado di lottare con un cobra e vincere (fonte: LeggendAuto).
Secondo tentativo: puntiamo sull’esperienza inglese!
Torniamo al GT program book. Primo passo, identificare la squadra di lavoro. Come ingegneri di progetto scelsero Eric Broadley, il padre della Lola GT (prima foto, fonte: Broadley Automotive) e John Wyer (seconda foto, fonte: Motor Emotion), che aveva già vinto Le Mans con Carroll Shelby (fonte: Historic Racing). Nel 1964 venne aperta un’officina nel garage di Broadley a Bromley, a sud di Londra. Successivamente, alla fondazione della Ford Advanced Vehicles, la produzione venne spostata a Slough.


Grazie alla presenza di Broadley e alla sua esperienza, iniziarono a lavorare su un progetto derivato dalla Lola MK6 GT. Questa era un’auto che aveva stupito il mondo di allora. Realizzata con il telaio in alluminio, linee esotiche, potente e velcoissima come nessun altra. Il lavoro di Broadley era stato eccellente (fonte e foto seguente: Lola Heritage).

Ford acquisisce la Broadley Automotive. La Lola MK6 viene ripresa e rivista, iniziando dalla linea generale che venne abbassata fino a 40 pollici. Ma guarda un po’, un numero che ritorna ovunque! Il numero VIN che identificava il modello passò così dall’essere “FordGT”, per i primi sette modelli, a “FordGT40” dei successivi (fonte: Ford).
Auto pronta. Si scende in pista con la MK1.
Il collaudo viene affidato al neozelandese Bruce McLaren che la guiderà anche nelle prime competizioni (fonte: McLaren). L’auto era pronta, ma le difficoltà da superare erano tante e serviva un collaudatore e futuro pilota di tutto rispetto, una persona che McLaren poteva incarnare. Ad aprile, in appena dieci mesi, l’auto era pronta per la presentazione ufficiale a New York.
I numeri che la caratterizzano sono di tutto rispetto, con un motore V8 da 4.2 litri e una potenza fino a 350 CV a 7000 giri/minuto. Era nata la Ford GT40 MK1!
Prime prove a Le Mans. L’auto era difficile da controllare alle alte velocità per questioni di aerodinamica, con una tendenza a sollevare l’avantreno alle alte velocità. L’intervento di McLaren poteva risolvere il tutto e così successe. Venne aggiunto uno spoiler, vennero apportate altre modifiche e l’auto finalmente era ora pronta per le corse. Il suo debutto? La stagione 1964. (Fonte immagini: Supercar.net)
Dalle prime competizioni emerge anche una richiesta di maggiore potenza. Gli interventi furono sostanziali, anche al propulsore, arrivando ora a montare un motore V8 da 4736 cm3 con potenza fino a 390 CV a 7200 giri/minuto e una coppia da 441 Nm a 5000 giri/minuto. La velocità massima raggiunta è superiore a 310 km/h.




Le vetture preparate erano veloci, molto veloci. La resistenza però era un vero problema. Norimberga, Le Mans e anche nelle altre gare ci furono sempre problemi. Dall’Europa si torna negli USA, la squadra torna al lavoro per migliorare l’auto.
La GT40 MKI si evolve. Nasce la Ford GT40 MKII. Siamo ormai arrivati al 1966. Il motore cresce di cilindrata arrivando ai 7 litri, mantenendo l’impostazione a V8, con una potenza che sale fino a 485 CV. Tantissimi gli interventi che portano degli indubbi vantaggi sul campo dinamico e prestazionale.
E’ tutto pronto. Oltre oceano viene individuata la squadra da battere. Anni prima era stata rifiutata a Ford la sua collaborazione.
Il prossimo capitolo della nostra storia? Naturalmente
Ford vs Ferrari.

Sritto da Filippo Miotto. Pubblicato il 08 aprile 2023.