L’Era BiTurbo di Maserati – Atto II

di Filippo Miotto, pubblicato il 03 febbraio 2023.


L’era di mezzo

Ebbene sì, l’Atto II di questa storia riguarda un periodo particolare, di transizione, in cui anche Maserati propose i suoi modelli con una variante di carrozzeria di moda negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. Quando ci eravamo lasciati nel precedente articolo, dedicato all’Atto I della storia delle BiTurbo Maserati (clicca quì per leggere “L’Era BiTurbo di Maserati – Atto I”), eravamo arrivati fino al periodo 1987-1994 trattando della Maserati 430 nelle sue diverse declinazioni. Questa berlina 4 porte – 5 posti era stata pensata essenzialmente per l’estero, area di vendita in cui la società del tridente sperava di conquistare nuovi appassionati.

Le linee di questa vettura, seppur in parte aggiornate, rispecchiano sempre le linee classiche definite anni prima con la prima vettura delle BiTurbo, nate sotto la guida di De Tomaso. Restando fedeli a queste linee, ma nella speranza di affermarsi nel settore, da circa il 1987 fino al 1994, Maserati propone delle varianti delle BiTurbo, essenzialmente basati su una rivisitazione dei modelli presentati fino a quel momento, ma adottandone una particolare variante, quella cabrio. Non ci sono innovazioni particolari, ma solo la chiusura dell’offerta di veicoli, affiancando alle coupè e alle 4 porte anche le varianti decapottabili, come venivano anche chiamate ai tempi.

Come scopriremo tra breve, queste versioni proponevano la classica capote in tela e un telaio in cui, abbattuta la copertura, rimaneva solo il parabrezza con il suo montante a coprire una silouette tesa e slanciata disegnata dalla sue linee ancora squadrate e tese. Non certo una novità e nemmeno una innovazione. In quel periodo erano molto di moda veicoli di questo genere e, adirittura, anche modelli economici proponevano queste varianti chiamate, appunto, decapottabili. Tutte le definizioni che daremmo adesso, da spider a cabrio a targa e ad altro ancora, non esistevano. Ai tempi per “tutti” c’erano quattro varianti di carrozzeria possibili: le berline, le touring (le attuali familiari o station wagon), i coupè e, per l’appunto, le decapottabili. Sì, sì, c’erano anche le spider, ma erano auto di tutt’altro tipo.

Non perdiamo però la trama principale, ossia le Maserati del periodo di transizione.

Questo il contenuto dell’articolo:

  1. L’era di mezzo
  2. Maserati 422. L’ultima versione 4 porte delle BiTurbo.
  3. BiTurbo Spyder.
  4. Spyder ’90.
  5. Spyder III.
  6. Maserati Karif
  7. Fine Atto II

Maserati 422. L’ultima versione 4 porte delle BiTurbo.

La Maserati 422 (fonte: Maserati, Supercars.net, ) viene inserita in questa “terra di mezzo” in quanto venne pensata per sostituire, nel 1988, la versione 420. Presa la meccanica dalla 420 Si, l’auto riprende le linee delle 420 proponendo alcuni piccoli restyling. In particolare, esteticamnte, si può notare che gli interventi hanno riguardato essenzialmente la griglia frontale, arrotondata con bordo cromato, il nuovo disegno degli specchietti retrovisori e le ruote in lega, previste a 5 bulloni.

Tra le versioni proposte, di interesse particolare risulta la 4.24v (fonte: Maserati, Supercar.net, Automoto). Questa rappresentava la versione 4 porte del corrispondente modello coupé, la 2.24. Da questa riprendeva molte caratteristiche stilistiche, presentando una versione aggiornata del motore V6, proponendo 4 valvole per cilindro di ultima generazione, 4 alberi a camme in testa. Per fornire alla vettura un design sportivo, ma comunque ricercato e non troppo esagerato, venne fatto un lavoro di dettaglio modificando le finiture cromate, ora annerite, e proponendo dei paraurti specifici. Sull’estremità del baule uno spoiler appena accennato ridefinisce la linea di chiusura della vettura. Nella seconda versione viene aggiornato il gruppo fari anteriore e compare, sul cofano anteriore, uno spoiler all’altezza dei tergicristalli.

L’assetto ribassato ed irrigidito migliorarono la dinamica di guida della vettura, oltre a slanciare ancora di più la linea esterna. Dal puto di vista estetico queste piccole modifiche aggiornarono di molto l’aspetto generale rendendolo molto più moderno, per i tempi, proponeno degli stilemi che verranno ripresi con gli ultimi modelli, in particolare con la 222.

I nuovi modelli adottavano delle sospensioni indipendenti dotate di controllo attivo elettronico su tutte e quattro le ruote. Gli interni si presentavano con finiture in pelle e legno, proseguendo l’idea di portare sul mercato autovetture con finiture superiori, come l’adozione dell’ABS, previsto di serie. Per il mercato italiano era stata pensata la 4.18v con più tradizionali testate a 3 valvole per cilindro, invece delle 4 valvole per cilindro della 4.24v.

Il motore, sempre il 2 litri biturbo a 6 cilindri a V di 90°, si proponeva con potenze variabili dai 220 CV a 6.350 giri/minuto e coppia di 262 Nm della 4.18, fino ai 245 CV a 6.200 giri/minuto e 333 Nm di coppia della 4.24v, quest’ultima vi ricordo dotata di testa a 4 valvole per cilindro. Le prestazioni ottenute variavano dai 218 km/h e accelerazione 0-100 km/h in 5.9 secondi della 4.18 fino ai 230 km/h e accelerazione 0-100 km/h in 6.1 secondi della 4.24v. I pochi decimi persi in accelerazione dipendono essenzialmente dal peso della vettura, di 1345 kg per la 4.18 e di 1480 kg per la 4.24v, quindi maggiore per la seconda di circa 135 kg, di certo non poco. (fonte: Automoto, Quattroruote).


BiTurbo Spyder.

Un errore di battitura? Invece no! la Maserati BiTurbo Spyder si scrive con la “Y” invece della “i”, questo per dare un senso più esotico alla vettura, partendo proprio dal nome. Anche questa entrava nel piano strategico di De Tomaso che voleva proporre auto con caratteristiche di fascia alta in una fascia di mercato più popolare, se così si può dire.

Rispetto alle versioni coupé e quattroporte, le Spyder utilizzavano un passo accorciato a 2.400 mm rispetto ai 2.514 mm originali. Presentata nella sua prima versione nel 1984, rimase in produzione, con alcuni aggiornamenti, fino al 1992, seguendo lo stesso iter di evoluzione e, appunto, di modifiche tecniche degli altri modelli coupé, pagando anche lei il prezzo della ridotta affidabilità dei primi modelli BiTurbo. Montava il 2 litri nelle versioni per l’Italia e il solito 2.5 litri per i modelli destinati all’esportazione.

Gli interni rispecchiavano le caratteristihce dei modelli Maserati, ricercati e lussuosi, con quell’orologio in centro alla plancia che ben conosciamo. La carrozzeria era a marchio Zagato, assemblate a Milano, mentre le scocche erano prodotte a Torino. Tutto veniva poi convogliato a Modena e unite alla parte meccanica e, finalmente, i modelli uscivano dalla line adi produzione pronti per la vendita.


Spyder ’90.

Pochi aggiornamenti, come i paraurti arrotondati e i cerchi da 15 pollici, e nel 1989 venne messa in produzione un aggiornamento della BiTurbo Spyder. Scompare anche il nome BiTurbo dal modello che viene ora identificato solo come Maserati Spyder ’90.

Modello molto simile al precedente, con la carrozzeria sempre realizzata da Zagato a Milano, adottava questa volta il motore da 2.8 litri per i modelli destinati all’esportazione.

Restò in produzione fino al 1994.


Spyder III.

Pochi, pochissimi aggiornamenti per questa Maserati Spyder III. La carrozzeria, firmata Zagato e Gandini, presenta delle soluzioni estetiche comparse anche sui modelli coupé e che verranno ulteriormente riviste nei modelli successivi. I cerchi ruota arrivano ora ai 16″ con disegno a 6 razze, mentre sul cofano motore, all’altezza dei tergicristalli, compare un piccolo spoiler. Gli specchietti posteriori assumono una forma più aerodinamica. Il motore subisce un incremento di potenza grazie all’introduzione di 4 valvole per testa cilindro, con 4 alberi a camme in testa.

Tre sono le versioni disponibili prodotte dal 1991 al 1994: Spyder III, Spyder III cat., e Spyder III cat 2800. Quest’ultima destinata per il mercato estero. I motori sono sempre i V6 a 90°. Le potenze vanno da 245 CV a 6.000 giri/minuto della prima fino ai 225 CV a 5.500 giri/minuto della 2800. Quest’ultima adottava, in sostituzione del 1.996 cc, adottava una cubatura maggiore, appunto prossima ai 2,8 litri. La configurazione cabrio comportava una leggera riduzione della velocità massima rispetto alle altre equivalenti versioni chiuse, con picchi inferiori ai 230 km/h.


Maserati Karif

Karif è il nome di una corrente calda che soffia nel Golfo di Aden, tra la sponda somala e lo Yemen. Ma Karif è anche il nome della vettura prodotta dal 1988 al 1991 dalla casa del tridente per gareggiare, almeno figurativamente nel mercato dei possibili clienti, con vetture come la Porsche 911 Carrera 3,2, la Lotus Esprit e la Ferrari 328 GTB. Il carroziere Zagato e Pierangelo Andreani proposero questo design particolare ripreso dalle caratteristiche tipiche delle BiTurbo. Altro segno distintivo l’hard-top rigido con montante centrale molto stretto.

La Maserati Karif, presentata al Salone di Ginevra del 1988, si proponeva così con una linea generale molto particolare, che alle forme un po’ sgraziate del modello accoppiava delle caratteristiche meccaniche molto buone, in grado di fornirle prestazioni da top di gamma, soprattutto se confrontate con la concorrenza del tempo.

Il motore, naturalmente biturbo, era il 2,8 litri V6 a 90° con tre valvole per cilindro in grado di erogare 285 CV a 6.000 giri/minuto della prima versione, che scendevano a 225 CV nella versione catalitia. L’utilizzo di un hardtop rigido su uno schema di telaio pensato per le versioni cabrio aumentarono la rigidità torsionale complessiva, favorendone le doti di dinamicità. Il motore di potenza elevata e con una coppia di 432 Nm per la versione non catalitica, però, conferiva un certo nervosismo alla vettura che richiedeva delle buone doti di pilotaggio ai possessori. Auto di vecchia scuola, la Karif era anche caratterizzata da un significativo “effetto ritardo” del turbo che conferiva ulteriore spinta al crescere dei giri motore. Lo scatto 0-100 km/h era garantito in meno di 5 secondi, mentre la velcoità massima era di 255 km/h.

Gli interni, essenzialmente, sono quelli classici delle BiTurbo, ad esclusione dei sedili posteriori che vennero sacrificati a favore del bagaliaio. Interessante il cambio, meccanicamente uno ZF a 5 marce, che aveva impostata la prima marcia in basso, cone 2a e 3a in posizione centrale.

(fonte: Maserati, Ruoteclassiche Quattroruote, Veloce.it, Club Alfa)


Fine Atto II

E anche l’Atto II è concluso. Pochi modelli, ma con caratteristiche particolari e ben definite.

Anche in questo caso non è stato seguito l’ordine cronologico, ma è stato dedicato ampio spazio alle versioni spider o, meglio scrivere, alle versioni Spyder. I motori, le caratteristiche meccaniche ed estetiche, vengono riprese dalle corrispondenti versioni berlina e coupé che ancora oggi ricordiamo. Un tributo particolare va naturalmente alla Karif, una Maserati che, nello spirito voluto da De Tomaso, poteva giocrasela ad armi pari con le supersportive dell’epoca. Ora una altra pausa, e poi l’atto finale, il terzo, con 3 modelli che ancora oggi fanno esaltare gli appassionati!



Di Filippo Miotto, pubblicato il 03 febbraio 2023.

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