di Filippo Miotto, pubblicato il 06 gennaio 2023
La storia delle storie.
“…La luce che arde col doppio di splendore brucia per metà tempo. E tu hai sempre bruciato la tua candela da due parti…” (Tyrell, from Blade Runner 1982).
Questa penso che sia la frase che più si addice alla storia della Bugatti Automobili S.p.A. e del suo gioello, la Bugatti EB110.

Questa non è la storia di un modello di automobile, ma la storia di un sogno imprenditoriale che doveva portare a fissare definitivamente in Italia una Casa Automobilistica antica, la Bugatti per l’appunto, e che avrebbe permesso all’Italia di garantire i natali alla prima, e alle successive, Hypercar di serie di quello che, ai tempi, era il futuro dell’automobile.
Le vicissitudini imprenditoriali del gruppo, le scelte tecniche (?) non del tutto congeniali e un presunto o veritiero complotto portarono la Bugatti italiana al fallimento, per vederla rinascere dopo molti anni sotto un’altra bandiera.
Iniziamo la nostra storia.
Questi i punti che tratteremo:
- La storia delle storie.
- Gli albori dell’automobile: Ettore Bugatti e il suo sogno.
- Bugatti Automobili SpA. Una storia italiana.
- Bugatti EB110
Gli albori dell’automobile: Ettore Bugatti e il suo sogno.
Un genio, un visionario, un precursore dei tempi. Così viene definito attualmente Ettore Arco Isidoro Bugatti (Milano, 15 settembre 1881 – Neuilly-sur-Seine, 21 agosto 1947), il fondatore della omonima Casa Automobilistica. Agli albori dell’automobile, riuscì a proporre e concretizzare dei principi nelle proprie vetture che potremmo definire moderni.
Il talento
Nato il 15 settembre 1881 a Milano, mostrò fin da subito una passione molto forte per la meccanica nonostante la sua famiglia, degli artisti, e il suo percorso di studi, l’accademia Brera, sembravano indirizzarlo verso una strada creativa completametne diversa. Le sue particolari doti e la sua predisposizione per il mondo dei motori lo portarono, a soli 16 anni, a lavorare come apprenditsta alla Prinetti & Stucchi. Presso questa azienda, a 17 anni, realizzò il prototipo di un triciclo a motore che utilizzò poi in una gara tra Parigi e Bordeaux (fonte: Motor1, Motor1, MotorValley).



In pochissimo tempo, siamo nel 1901, Ettore Bugatti riesce a farsi conoscere nell’emergente mondo dell’automobile e ad attrarre su di sè gli interessi di diversi imprenditori con cui inizia a sperimentare e ad innovare questo settore. Nell’arco di meno di 8 anni riuscì a collaborare con tre divrese Case Automobilistiche dell’epoca. Devono, così, essere ricordati i connubi con De Dietrich, Mathis e con Deutz.
All’inizio dell’articolo l’ho definito un precursore dei tempi. Alcuni dei suoi modelli, infatti, adottavano soluzioni tecniche ritenute, per i tempi, d’avanguardia. Per la Parigi-Madrid del 1903 propose una vettura in cui erano stati curati aspetti volti a ridurre i pesi di tutto il corpo vettura, oltre che a cercare una loro distribuzione ottimale. Innovazione ulteriore, cercò di avvicinare la seduta del pilota al terreno, riducendo così la resistenza aerodinamica. Quest’ultima opzione, unica per i tempi, siamo infatti nel 1903, non fu accettata dagli organizzatori, rimandandone l’applicazione a “tempi migliori”.
Il suo estro non fìnì quì, però. In quegli anni propose anche i motori plurivalvole in un mondo che viaggiava con due valvole per cilindro. Progettò e realizzò motori da oltre 6.000 giri/minuto, toccando un traguardo ritenuto nel settore ancora molto lontano. Scelse dei cerchi in lega leggera per alcune delle sue vetture, sembra con il fine di ridurre i pesi.
Nasce lo stabilimento Bugatti e gli anni d’oro
Arriviamo così al 1909 quando si trasferisce a Molsheim, in Alsazia, una regione ora francese ma che all’epoca apparteneva alla Germania. E’ in questa cittadina che Bugatti, nonostante fosse italiano, decide di creare il suo stabilimento per iniziare a produrre automobili con la Automobiles Ettore Bugatti.
L’arrivo della Prima Guerra Mondiale, però, lo porta ad adottare scelte produttive in un altro settore. Dopo la realizzazione della Type BP1 Bèbé nel 1913 inizia, infatti, la produzione di aerei e motori aeronautici, vittima anche lui dei tempi poco felici in cui viveva.
Alla fine della guerra si dedica al motorsport collezionando un numero elevato di vittorie in diverse tipologie di competizioni, permettendo al marchio di farsi conoscere e apprezzare. Tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso riesce ad aggiudicarsi importanti titoli, tra cui anche due vittorie alla 24 ore di Le Mans. Di notevole rilevanza l’anno 1926 quando conquista il mondiale costruttori, padroneggiando sia nelle gare valide per il campionato costruttori sia nelle altre competizioni, sfidando le case francesi Delage, Bugatti, le italiane Maserati e Chiribiri e le britanniche Talbot e Aston Martin (fonte: Circus F1, Motori on Line, Bonhams). Le vittorie sono garantite dai modelli Bugatti Type 35 e Bugatti 39A. La prima era caratterizzata da un motore V8 da 2.0 litri con 100CV e un cambio manuale a 4 rapporti. La seconda adottava un motore V8 con compressore volumetrico per una potenza di 130 CV.


Al motorsport vengono affiancate vetture stradali note, oltre che per le loro prestazioni, anche per il lusso sia delle linee sia degli interni. Il connubio di queste due caratteristiche rendevano uniche le Bugatti. La vettura simbolo della Casa e del lusso automobilistico diventò la Bugatti Type 41, nota a tutti con il nome di Bugatti Royale. L’idea, ripresa poi dalla azienda ora in attività, era quella di produrre una vettura talmente elitaria da poter essere acquistata da un ristretto numero di persone come, ad esempio, i regnanti, da cui il soprannome. L’auto era esagerata non solo nel prezzo, ma anche nella motorizzazione. Montava, infatti, un 8 cilindri di derivazione aeronautica da oltre 12 litri di cilindrata per 300 CV di potenza (fonte: Quotidiano Nazionale, Ruoteclassiche Quattroruote).


Verso la prima chiusura
Sopravvissuta alla crisi del 1929, grazie al riutilizzo dei suoi motori in ambito ferroviario, la Bugatti, come il resto del mondo, si imbatte nella Seconda Guerra Mondiale e in tutti i suoi orrori, drammi e tragedie. Sopravvissuta anche a questa guerra, grazie anche alla collaborazione con la Hispano-Suiza, ebbe però in seguito una vicenda ancora più travagliata. Varie vicissitudini legali del fondatore della casa, dovute ad una accusa di collaborazionismo con i tedeschi poi risultata non vera, e i problemi di salute dello stesso, decretarono il suo lento declino. Ettore Bugatti morì nel 1947 senza vedere il riavvio della produzione di automobili con il suo marchio. Gli eredi affidarono la direzione della fabbrica a Pierre Marco, un collaboratore di Ettore Bugatti e a Roland Bugatti, uno dei 5 figli di Ettore Bugatti.
Nel 1951 entrarono in produzione i nuovi modelli. L’auto prodotta, denominata Tipo 101, in realtà era basata su una piattaforma già in uso prima della guerra. L’auto venne proposta con la setssa filosofia che aveva caratterizzato le Bugatti dei tempi d’oro, compresa la possibilità di allestirla sulle specifiche esigenze del cliente a cneh a livello di dettagli e tipologia di carrozzeria. Il costo elevato proposto in un periodo molto difficile, decretarono la non commerciabilità del prodotto. Nel 1951 venne sospesa la produzione di autoveicoli.




Nel 1956, in un ultimo disperato tentativo di rinascita, venne ripresa l’attività sportiva, proponendo due modelli tra cui la Tipo 251, proposto nelle immagini precedenti. Le leggendarie imprese degli anni ’20 e ’30 non vennero però ripetute. I modelli proposti garantirono solo alcune vittorie marginali, senza mai mostrare una vera competitività del marchio nel motorsport dell’epoca.
La storia della Automobiles Ettore Bugatti è giunta al termine. Nel 1963 la Hyspano-Suiza, ormai titolare del marchio Bugatti, decretò la fine della produzione di autoveicoli. La prima fase è ormai conclusa.
La rassegna dei vari modelli e le loro storie è stata ridotta a quelli essenziali. Tutti i veicoli prodotti potete, naturalmente, vederli e studiarli sul sito ufficiale della Bugatti Automotive, la società attuale che gestisce il marchio
Bugatti Automobili SpA. Una storia italiana.
Per iniziare questa parte dobbiamo fare un salto nello spazio e nel tempo. Dalla Francia del 1963 dobbiamo, infatti, arrivare al 1987 a Campogalliano, un piccolo comune nella provincia di Modena, in quella terra che ora chiamiamo Motor Valley ma che, al tempo, era nota solo come Emilia-Romagna, anche se da sempre considerata la terra dei motori.
La fondazione della Bugatti Automobili SpA
<<… Correva l’anno 1987 quando, in una notte buia e tempestosa, alcuni dei più grandi nomi del panorama automobilistico italiano decidono di incontrarsi in gran segreto. In un luogo recondito e misterioso, riuniti intorno ad un tavolo, decidono di creare una nuova autovettura, quella in grado di sfidare e vincere ogni concorrente. …>>
Sarà andata così? Probabilmente no, ma un po’ di fantasia non guasta mai.
La nascita della Bugatti Automobili S.p.A. nel 1987 resta comunque un dato di fatto, non un’opera di fantasia, e una scelta dettata non solo dalla passione ma anche da specifici piani imprenditoriali. Prima di raccontare la EB110 è doveroso narrare delle vicissitudini dell’azienda, esagerata ed avveneristica come la stessa automobile creata e gli stessi protagonisti.
I fondatori
L’artefice principale di tutto è l’imprenditore Romano Artioli. Di origini mantovane, ma cresciuto a Bolzano, si dedica fin da giovane al mondo delle automobili arrivando a gestire, negli anni ’80, proprio in quest’ultima città, il più grande concessionario di Ferrari del mondo, con praticamente il controllo del mercato della Germania. Ma non finisce qui. Nello stesso periodo inizia anche l’importazione delle auto giapponesi. Con l’azienda Autexpò, nel 1982 diviene il primo importatore di Suzuki in Italia.
L’imprenditore Artioli era un grande appassionato di Bugatti. Questo, nonostante fossero passati anni dal periodo d’oro della fabbrica di Ettore Bugatti, suscitava ancora in tutti la memoria di autovetture dove sportività ed eleganza erano spinte ai massimi livelli, diventando esse stesse un punto traguardo da raggiungere. Il marchio Bugatti, quindi, nonostante le vicissitudini del dopoguerra, era ancora molto appetibile e carico di aspettative.
Nell’avventura, se così possiamo chiamarla, viene coinvolto anche Paolo Stanzani. Per capire chi era questo ingegnere basta fare un solo nome: Miura. Sì, è proprio lui, il papà della Lamborghini Miura. Paolo Stanzani, infatti, iniziò a lavorare in Lamborghini fin dal 1963, poco dopo la sua laurea in ingegneria meccanica. Nato in questo contesto particolare, formatosi sotto la guida di Gian Paolo Dallara e dello stesso Ferruccio Lamborghini, mostrò più volte il suo talento progettando, o seguendone il progetto come Direttore Generale e Direttore Tecnico, vetture quali la Espada, la Jarama, la Miura S, la Miura SV, l’Urraco e la Countach. Abbandonato il gruppo Lamborghini nel 1975, rimase comunque legato al fondatore della Casa Automobilistica dei tori.


Sul sito di Autodrome Paris sono riuscito a trovare le immagini che vi propongo sopra. Sono riuniti tutti i prototipi studiati per la Bugatti EB110, con al centro il modello realizzato, e tutto il gruppo che ha portato alla nascita della Società e della vettura.
Nasce la Bugatti Automobili SpA
Primo passo: Romano Artioli fonda la Bugatti International con sede in Lussemburgo.
Secondo passo: La Bugatti International, coadiuvata dal progetto di Paolo Stanzani di una nuova autovettura, riesce ad ottenere la cessione del marchio Bugatti da parte del governo francese, nel 1987.
Terzo passo: La Bugatti International, insieme a Paolo Stanzani, che rimarrà socio di minoranza, fonda la Bugatti Automobili SpA.
Iniziano gli studi per realizzare una nuova autovettura. Viene richiesto un consulto/aiuto a Ferruccio Lamborghini che voleva ripresentare sul mercato un’auto, con il suo nome, dotata di un V12. Oltre a Stanzani e Lamborghini vengono coinvolti nella progettazione, anche se in fasi alterne, anche persone come Marcello Gandini (nelle fasi di ricerca), Nicola Materazzi e Giampaolo Benedini (per lo sviluppo del modello di serie), Loris Bicocchi (per il collaudo).
In alcuni terreni fuori Campogalliano venne costruita la fabbrica vera e propria. Grazie alla progettazione architettonica di Gianpaolo Benedini il nuovo stabilimento proponeva un modo diverso di vivere tutta la filiera, dalla progettazione alla realizzazione, in un contesto di rispetto dei lavoratori e dell’ambiente. Gli edifici vennero caratterizzati da una grande attenzione per l’illuminazione naturale, il rapporto diretto tra interno ed esterno e il dettaglio tecnologico. (fonte: Quattroruote, Beni Culturali Online)



Il complesso industriale si presentava con <<… Un primo edificio in calcestruzzo armato e rivestito con pannelli di lamiera d’acciaio decarburato, smaltati ad alta temperatura con il colore blu Bugatti, era destinato allo sviluppo dei motori. Subito dopo furono realizzati gli uffici in due corpi e il settore produttivo costruito con componenti metalliche, adatte a vincolare facilmente gli impianti: le coperture furono definite in lamiera d’acciaio e i tamponamenti furono prefabbricati in cls. La richiesta della committenza di una soluzione architettonica luminosa fu risolta facendo girare anche sulle pareti gli shed, normalmente impiegati solo alla sommità dell’edificio. Lo stesso tipo di costruzione fu scelto per la mensa aziendale. …>>. (fonte: Comune di Modena)
Nel 1990 Artioli assunse la presidenza della società. I primi prototipi erano quasi pronti, ma dei dissidi con Stanzani fecero allontanare quest’ultimo in modo definitivo. Subentrò a lui per la progettazione Nicola Materazzi. Era il 1991. Da lì a poco sarebbe stata presentata al mondo intero la Bugatti EB 110.


(fonte: Ruoteclassiche Quattroruote, Motor Authority)
La fine della seconda storia della Bugatti e il mistero della sua caduta
L’attività imprenditoriale non ebbe, però, tutto il successo sperato e che si sarebbe dovuta meritare. Nel settembre del 1995, a distanza di pochi anni dalla presentazione della EB110, mentre era in lavorazione la berlina di lusso EB112, venne dichiarata la bancarotta.
La seconda storia delle Bugatti finì, seguendo le sorti della prima. Nell’aprile del 1998 la Bugatti Automobili SpA venne rilevata dalla Volkswagen. La Casa tedesca iniziò così il suo traghettamento nell’era moderna. Nel 2021 la gestione passa a Rimac. Ma queste sono altre storie…
[ In alcune testate viene attribuita la Edonis alla Bugatti. Attenzione, però, che non si tratta della Bugatti Automobili SpA di Artioli, ma della Bugatti Engineering, successiva alla prima, in cui la Edonis rappresentava una evoluzione autonoma su progetto dell’ing. Materazzi. ]
La caduta della Bugatti rimane però avvolta nel mistero. Ci sono dei lati della vicenda che non sono, almeno per il grande pubblico, ben chiari. Tra l’altro, i vari partecipanti a questo progetto, hanno più volte raccontato nelle interviste versioni tra loro discordanti.
In diverse interviste (Al Volante, Kidson TV) lo stesso Romano Artioli avanza delle accuse pesanti di un piano di sabotaggio della sua nuova realtà. Innanzitutto ricorda i suoi dubbi sul realizzare la fabbrica della Bugatti Automobili SpA proprio a Modena, in quell’area dove altre realtà, come Lamborghini, Ferrari, De Tomaso, Maserati e via dicendo, avevano posizionato le loro sedi storiche. Da queste stesse Case erano stati presi, inoltre, molti tecnici e progettisti per lavorare al progetto della EB110 e si pensò quindi ad una sorta di scontro tra i vari soggetti indicati.
In base ai racconti rilasciati da Artioli queste persone dedite al sabotaggio, peraltro mai nominate nelle interviste, sostiene che avessero anche minacciato i fornitori, dando loro indicazione del fatto che, se avessero lavorato ancora per la Bugatti non avrebbero più lavorato per forniture più grandi. I pezzi stessi che arrivavano in Bugatti risultavano spesso non funzionanti e con evidenti difetti.
Ci furono accuse generiche, ma mai nessun nome trapelò a chiare lettere. Le case citate precedentemente di certo non erano in grado di proporre sabotaggi (Auto). Ferrari Enzo era morto nel 1988, e la sua Casa era già avvolta nei suoi problemi per traghettarsi verso nuove realtà imprenditoriali. Lamborghini Automobili stava pensando alla nuova gestione dettata dalla Chrysler e lo stesso Ferruccio Lamborghini venne coinvolto nel progetto quando ormai aveva ceduto le sue quote interamente ai nuovi proprietari. La Maserati, sotto la guida di De Tomaso, era a rischio chiusura quando, nel 1993, passò sotto la guida di Fiat.
L’ing. Materazzi, invece, racconta un’altra verità. In una intervista di Davide Cironi, disponibile a questo link, dichiara che furono le scelte imprenditoriali di Artioli a portare al fallimento, unitamente alla scelta, per l’ingegnere sbagliata, di volere a tutti i costi fare la EB112, auto di lusso a 4 porte.
Una terza versione viene raccontata invece dall’ing. Stanzani e da sua figlia. In una intervista, rilasciata a 1000 Cuori Rossoblu e che potete leggere cliccando quì, vengono assemblate notizie dalle interviste rilasciate dall’ingegnere stesso, racconti fatti in famiglia, e note degli appunti recuperate dalla figlia. Il quadro che ne esce è molto più complesso, senza inganni e senza attività occulte. Il racconto si alterna tra questioni tecniche, imprenditoriali e problemi legati a scelte azzardate e a problemi di conflitti di interessi tra i personaggi coinvolti nella direzione della società nata.
Per quanto riguarda la sede di Campogalliano, c’è da fare una puntualizzazione. Molte volte viene additata come una soluzione che, a fronte dei volumi di vendita della EB110 e del suo prezzo, avrebbe avuto dei costi iniziali troppo elevati. In realtà, come specificato dall’architetto Benedini nel commento che mi ha lasciato all’articolo (potete leggerlo scorrendolo fino in fondo), i costi dello stabilimento, al netto degli impianti per la ricerca e lo sviluppo della meccanica, erano assolutamente usuali. Altra precisazione che l’Architetto vuole lasciarci è che gli stipendi dei lavoratori furono SEMPRE stati pagati! Una nota che doveva essere riportata!
Bugatti EB110
Basta raccontare di piani imprenditoriali e similari! E’ il momento di godersi la macchina vera e propria in tutto il suo splendore. (fonte: Top Classico)


Il 14 settembre 1991 a Place De La Défense a Parigi e il giorno successivo a Molsheim, dov’era stata fondata l’originaria officina Bugatti, in occasione del centodecimo anniversario della nascita di Ettore Bugatti, venne presentata la vettura. Proprio in memoria e riconoscenza per il primo fondatore della Casa, l’auto viene battezzata EB110.
La produzione
Due saranno i modelli previsti. La prima versione presentata venne denominata EB110 GT. La versione più potente prese il nome di EB110 SS. A queste si aggiunsero anche due modelli preparati appositamente per la pista, destinati alle gare di lunga durata. Ma non è finita quì. Una versione a metano, naturalmente (?), e 3 modelli preparati ad hoc per due clienti di eccezione.
Nemmeno il fallimento della società e la chiusura della Casa fermarono la produzione. Con le rimanenze di magazzino vennero sistemate le auto usate nelle comeptizioni di lunga durata, per poi essere esposte in un museo, oltre che a permettere ad un appassionato di costruirle ancora, naturalmente non a marhcio Bugatti.
In totale vennero realizzate 139 vetture di cui 39 nella versione SuperSport, 98 nella più pacata versione GT, compresi anche i primi prototipi funzionanti, e 2 destinate alle gare di durata (fonte: Motor Authority).



Il contesto in cui nasce
Cosa aveva di così speciale la Bugatti EB110? Perchè a distanza di tanti anni, ormai più di 30, ancora si parla di questo modello non con nostalgia ma come evento unico nel settore?
Fino al 1990 il panorama delle auto presentava numerose case automobilistiche che, a catalogo, vantavano delle supersportive di tutto rispetto, con motori potenti e linee affascinanti. Queste restavano, però solo delle supercar. Nel periodo in cui nasce la Bugatti Automobili SpA, invece, c’è un forte fermento nel settore. Nel giro di meno di 5 anni sarebbero state proposte sul mercato automobili come la Cizeta-Moroder V16T (fonte: Formula Passion), la Jaguar XJ220 (fonte: Ruoteclassiche Quattroruote) e la McLaren F1 (clicca quì per leggere l’articolo di LeggendAuto) che avrebbero, insieme alla protagonista di questo articolo, creato il settore delle hypercar moderne, così come le intendiamo noi adesso. Motori potentissimi, tecnologia d’avanguardia, stile unico e raffinato, quindi non solo auto sportive da pista e non solo delle GT di lusso.







Qualche lettore si chiederà in che categorie vorrei allora collocare la Ferrari F40 (fonte: LeggendAuto) e la Lamborghini Countach (fonte: LeggendAuto), poi sostituita dalla Diablo (fonte: LeggendAuto) proprio nei primissimi anni ’90. La prima è un’auto in una categoria a se stante, che definirei più una “legal race car”, ossia auto da pista circolanti con la targa, mentre la seconda la collocherei più nella categoria GT.
E prima di loro? non esisteva nulla? Un unico modello potrebbe rientrare in questa categoria, ma dobbiamo tornare al lontano 1966 quando venne presentata la Lamborghini Miura (fonte: LeggendAuto).
Stile, design e aerodinamica
Fermiamoci un attimo e osserviamo la linea di questa vettura (fonte: Robb Report, Rinascimento Magazine). Un unico tratto disegna la fiancata, un’altro definisce l’abitacolo. Appendici aerodinamiche praticamente assenti, nulla disturba la vista generale, nulla è superfluo o aggiunto. Una presa d’aria su ogni lato è al servizio del motore. Questa incide la fiancata senza essere invadente, mantenendo una geometria corretta e equilibrata. All’anteriore si notano altre prese d’aria integrate con dei tagli nel paraurti. I fari sono a vista ma con la copertura a filo del cofano anteriore. Due espulsori alle loro spalle disegnano i passaruota, ma possono essere notati solo dalla vista frontale. Esagerati? Non è questo il caso.





Al posteriore i fari fanno notare il design dell’epoca. Gli estrattori d’aria sono mascherati e in essi trovano alloggiamento anche gli scarichi. Una griglia, per favorire il raffredamento del motore, collega i fari posteriori. Al di sopra è presente l’alettone a scomparsa, una delle novità dell’epoca, anche questo dal profilo alare semplice ma sempre efficiente.
La SuperSport era dotata di cinque fori di raffreddamento nel montante centrale. Questi erano stati resi necessari per convogliare ulteriore aria al motore. Quell’aria poi proseguiva attraverso il vano motore, con copertura in vetro, per venire espulsa dalle dieci fessure nella parte posteriore.
Al progetto lavorarono i grandi nomi dell’epoca in fatto di automobilismo. Gli ingegneri Stanzani, Gandini, Materazzi e Reggiani si alternarono nella progettazione del motore e della linea. L’aspetto estetico finale venne però definito dall’architetto Benedini che semplificò e pulì le linee esterne proposte da Gandini. L’architetto introdusse degli elementi distintivi, come i fari spostati in alto e il disegno della calandra frontale. Una delle caratteristiche distintive, che derivano dall’esperienza in Lamborghini di Gandini, sono le portiere con apertura a forbice. Una caratteristica che ne aumenta ancora di più il fascino!
Telaio
Il telaio era una vera e propria innovazione per l’epoca. Per poter abbassare il peso del corpo vettura, dato che l’auto presentava dimensioni molto generose, non era possibile adottare un telaio classico in acciaio, e neppure quello in alluminio, previsto nei progetti iniziali, risultò idoneo. L’incarico di realizzare la struttura portante venne così affidata alla Bugatti Aèrospatiale, società specializzata in campo aeronautico, a curriculum vanta il Concorde). La soluzione più idonea fu quella di derivare dalla Formula 1 la tecnologia necessaria. Venne così realizzato un telaio monoscocca a vasca in fibra di carbonio, risultando così la prima auto stradale della storia ad adottare questa soluzione (fonte: Veloce.it).

Grazie anche agli interventi sul poderoso motore, si riuscì a contenere il peso a soli 1620 kg, che scendevano ulteriormente a 1470 kg nella versione SuperSport. Pensando all’anno di costruzione e alle dimensioni finali, si può affermare che anche questo fu uno dei primi record ottenuti. L’auto, infatti, ha dimensioni di 4.40 m di lunghezza per 1.94m di larghezza, con un’altezza totale di 1.13m
Motore e trasmissione
Prima di iniziare la descrizione del motore conviene fermarsi un attimo a riflettere. Rilassate la mente, un bel respiro, e al via le sue caratteristiche (fonte: Autoappassionati, 1000 Cuori Rossoblu, Ruoteclassiche Quattroruote, Autoblog, Ultimate Specs):
- motore 12 cilindri a V con angolo di 60° tra le bancate, monoblocco in lega di alluminio e magnesio, testate in alluminio e titanio;
- cilindrata di 3.5 litri;
- posizione posteriore longitudinale, con integrato il cambio e parte della trasmissione;
- lubrificazione a carter secco, distribuzione a due alberi a camme in testa per bancata, 5 valvole per cilindro;
- quattro turbocompressori IHI;
- nella versione GT sviluppava 560 CV a 8.000 giri/min, nella versione SuperSport arrivò a 611 CV 8.250 giri/min.
L’elenco precedente mostra qualcosa si strano, non solo per i tempi ma anche per un’auto creata adesso. Innanzitutto il numero di turbocompressori, ben 4. L’ing. Materazzi lì definì “complicare il semplice”, ma sta di fatto che l’esagerazione che doveva rappresentare l’auto era ben raffigurata anche da questo valore straordinario. Nessuna auto di serie aveva mai osato tanto!
Anche dal punto di vista delle valvole per cilindro non scherziamo. Le 5 vennero proposte per gestire al meglio i flussi dei cilindri, portando, insieme a tutte le altri caratteristiche il motore ai limiti di potenza visti prima, valori che comunque sarebbe stato possibile aumentare ulteriormente.
.



Quadriturbo, 12 cilindri. Un motore ingombrante e potentissimo ceh doveva scaricare tutta la sua potenza a terra. La soluzione trovata, piuttosto prara per l’epoca, fu di adottare una trazione integrale permanente associata ad un cambio manuale a 6 marce. Questa doveva sopperire anche alla distribuzione dei pesi non ideale, che portava ad uno sbilnaciamento con il 60% al retrotreno e il 40% all’avantreno. Tecnicamente si scelse di distribuire la coppia con un valore pari al 27% all’anteriore e il 73% al posteriore. Il risultato fu di un’auto comunque nervosa ma che permetteva limiti di tenuta di strada eccezionali.
Le prestazioni associate a questo motore sono strabilianti, sorattutto tenendo conto che, agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, non esistevano dispositivi elettronici per aiutare la gestione della trasmissione della coppia e della potenza a terra e che gli penumatici non erano di certo quelli attuali superperformanti. Lo scatto 0-100 km/h era ottenuto in meno di 3.5 secondi, a seconda della versione e anno di produzione, arrivando prossimo ai 3.3 secondi. La velocità massima era superiore ai 330 km/h, con un picco registrato di 342 km/h. Incredibile!
Le gare endurance
Anche lei fu tentata dalle gare di durata. Due furono le auto impiegate in questo tipo di competizioni: la EB110 SS Le Mans e la EB110 SC GTS-1. Bugatti non aveva un settore corse ma, su richiesta di clienti specifici, approntò questi modelli basati sulla versione stradale “SuperSport” (fonte: Everyeye Auto, Motor 1, 1000 Cuori Rossoblu, Motor Authority, Supercars.net).





La EB110 SS Le Mans, approntata per la 24H di Le Mans del 1994 nella classe GT1, venne guidata dai piloti Alain Cudini, Éric Hélary e Jean-Christophe Boullion. Gli interventi previsti furono concentrati, oltre che su alcuni aspetti dell’aerodinamica, anche sulla riduzione del peso, con un risparmio di circa 200 kg rispetto alla versione stradale, e ad una diversa distribuzione di potenza e coppia, in modo tale da renderla più “corsaiola” possibile.
La EB110 SC, o Sport Competizione, venne preparata su richiesta di Gildo Pallanca-Pastor, pilota e uomo d’affari, con l’intento di partecipare al campionato IMSA. Il debutto avvenne nel giugno 1995 a Watkins Glen, a cui faranno seguito anche delle sue comparse agli eventi del BPR Global GT Series. Qualche vicissitudine giudiziaria, visto il suo coinvolgimento nel fallimento della Casa Madre, non frenarono il pilota Pallanca-Pastor che riuscì a riottenere la vettura e a partecipare alla 24 ore di Daytona.
I record battuti
Del primato dato dall’essere la prima autovettura con telaio monoscocca a vasca in fibra di carbonio, e del record tecnologico di essere la prima automobile di serie dotata di 4 turbo, ne abbiamo già parlato.
Tra gli altri record ottenuti ci fu quello di velocità massima per un auto di serie. Anche se detenuto per poco tempo, stavano infatti per affacciarsi nel mondo delle hypercar la Jaguar XJ220 e la McLaren F1, fu la prima auto ad avventurarsi fino alla velocità di 342 km/h.
Un esemplare venne sottoposto ad una serie di modifiche tali da permetterle di essere alimentata a metano. Grazie al maggior numero di ottani del metano rispetto alla benzina, la potenza del motore passò da 560 a 650 CV, diventando la vettura alimentata a metano più potente dell’epoca. Sul circuito ad alta velocità di Nardò, ora Porsche Enginering Center, la Bugatti EB 110 stabilì un nuovo record, toccando la velocità massima di 344,7 km/h.
Un cliente speciale
“… Gialla! La mia deve essere gialla!…”. Così mi immagino abbia pensato Michael Schumacher quando vide per la prima volta la Bugatti EB110 e così fece.
In Casa Bugatti non potevano crederci! Il più grande pilota di quel periodo che ordina una Bugatti, non per una manovra pubblicitaria, non perchè gli viene offerta come promozione del marchio, ma solo e unicamente perchè si appassionò alla vettura e la ritenne l’auto che avrebbe dovuto guidare. E come dargli torto?

Nella foto le due leggende. (fonte: Autoblog)
Di Filippo Miotto, pubblicato il 06 gennaio 2023.
Ci sarebbero alcune precisazioni o correzioni ( per esempio la Edonis è un progetto che non ha relazione diretta con Bugatti Automobili ma una evoluzione autonoma definita dall’ing Materazzi all’interno della B Enginering dopo la chiusura della BA oppure i costi dello stabilimento che al netto degli impianti per la ricerca e sviluppo della meccanica erano assolutamente usuali). Ma un giorno prima che sia troppo tardi scriverò anch’io la mia versione sopratutto delle ragioni della chiusura. Che oggi non accadrebbe, per tutelare i dipendenti. Che per inciso avevano SEMPRE ricevuto gli stipendi.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie tantissimo per la precisazione e la correzione che mi ha lasciato. Ho già inserito il tutto nell’articolo. Se un giorno vorrà raccontare la sua versione, sappia che LeggendAuto sarà sempre disponibile!
"Mi piace""Mi piace"
Con un po’ di tempo a disposizione lo farei volentieri. Perché credo importante arrivare a capire perché e come sia finita in malo modo.
"Mi piace""Mi piace"
Lo spero vivamente!
"Mi piace""Mi piace"