Il settore automobilistico e il Green Deal Europeo

Di Filipo Miotto, LeggendAuto, pubblicato il 16 dicembre 2025.


Quale sarà il futuro dell’automobile? L’Unione Europea sembra aver capito che il progetto di rendere l’Europa paladina della salvaguardia dell’ambiente stava producendo alcune problematiche e ha deciso di correggere il tiro.

Oggi, 16 dicembre 2025, un comunicato stampa preannunciato nei giorni scorsi, ha indicato la nuova via per identificare prima nell’anno 2035, poi nell’anno 2050, il traguardo ultimo oltre il quale diventeremo il primo continente a emissioni zero. Questi due step sono molto importanti, nessun dubbio al riguardo, ma purtroppo le metodologie messe in atto per raggiungere lo scopo hanno generato da un lato confusione tra le persone e dall’altro lato hanno creato anche parecchi problemi al settore industriale e non solo.

Questi i contenuti dell’articolo:


Il Green Deal, questo sconosciuto.

Partiamo con ordine con il primo aspetto: la confusione generata. Per i non addetti ai lavori quello che viene promosso con il nome di “Green Deal” non è una manovra concentrata solo ed esclusivamente sul settore automobilistico. Esso riguarda tutta una serie di interventi nei diversi settori della società di cui l’industria è una parte, con l’industria automobilistica e con il settore dell’autotrasporto parte di quest’ultima. Nel Green Deal non viene trascurato nulla: i consumi delle famiglie, il trattamento dei rifiuti, l’agricoltura.

Limitando l’analisi proposta in questo articolo al settore industriale, il piano previsto dalla U.E. prevede:

Competitività industriale verde, caratterizzata dal piano industriale del Green Deal per aumentare la produzione e promuovere le tecnologie a zero emissioni nette, il regolamento sulle materie prime critiche, con gli obiettivi dell’UE per l’estrazione, il trattamento e il riciclaggio dei materiali essenziali entro il 2030, il regolamento sull’industria a zero emissioni nette che dovrebbe favorire la produzione locale di tecnologie pulite e, per ultimo, il sostegno nei settori delle batterie, dell’idrogeno, della mobilità pulita, della microelettronica.

Economia circolare, con un piano d’azione per azzerare l’inquinamento, che comporta standard più elevati per la qualità dell’acqua e dell’aria e delle specifiche riforme nel campo dei rifiuti e dei prodotti che passerà attraverso gli imballaggi sostenibili, il divieto di distruggere i beni invenduti, la progettazione dei prodotti in modo che possano essere riparati e altro ancora.

La lettura di questi punti (clicca qui per altri dettagli) mostra come l’accusa verso il mondo dell’automobile, come prodotti e come produzione, è solo uno dei tanti aspetti trattati. Molte testate giornalistiche presentavano invece l’Unione Europea come un sistema alterato che aveva trovato il capro espiatorio dell’automobile per giustificare l’inquinamento delle nostre città e non solo.

Tutto risolto? Non proprio. Il meccanismo è più complesso e qui ci troviamo difronte al nodo del problema. La mobilità sostenibile è uno dei settori su cui si è deciso di intervenire per ridurre l’inquinamento e la mobilità elettrica, a discapito di quella termica attuale, uno dei sotto settori da rivoluzionare. E qui sono iniziati i problemi.

Non si mette in dubbio la necessità di passare alla trazione elettrica, dimostrata ormai in ogni piazza, che se si parte da una produzione dell’energia da fonti rinnovabili, l’auto elettrica è indubbiamente non solo più efficiente, ma anche più pulita di quella a motore termica tenendo conto di tutta la filiera, dall’inizio della produzione alla sua dismissione (di questi aspetti di analisi costi e benefici me ne ero occupato diffusamente in un mio articolo che potete leggere cliccando qui). Quello che l’UE non ha correttamente interpretato è stato il risvolto sociale e culturale dell’automobile che non è un oggetto tecnologico paragonabile ad un cellulare o ad un elettrodomestico qualsiasi, ma è un fenomeno molto complesso e talmente radicato nella nostra società che non può essere stravolto da un giorno all’altro. Il primo traguardo, quello del 2035, prospettato qualche anno fa, era comunque sempre troppo vicino, industrialmente e socialmente non era distante 15 anni, ma era paragonabile temporalmente ad un “domani”.

L’eccessiva rapidità di evoluzione.

Il cambiamento era nell’aria, ma sembrava non verosimile l’accelerazione che hanno voluto dargli. Cambiare completamente il core business di una industria in tempi rapidi non è semplice come dirlo. Tutto il sistema “Ricerca e Sviluppo” deve essere rivisto, non più incentrato sulla ricerca dell’incremento dell’efficienza delle unità termiche o sulla proposta dei sistemi ibridi, ma bisognava praticamente abbandonare tutto, dire stop ai progressi fatti e ripartire dalla ricerca di motori elettrici e sistemi di accumulo, le famose batterie, in grado di fornire il giusto supporto ai veicoli. Velocità di ricarica e capacità di accumulo, ossia chilometri percorribili, confrontabili con i corrispettivi valori delle unità termiche. A questo si legava la dismissione del settore legato alla produzione dei motori e convertire tutto verso la produzione dei sistemi elettrici per l’autotrazione.

Nel momento in cui è stata imposta la prima scadenza l’industria europea non era pronta e i consumatori, a cui non era stata spiegata correttamente cosa vuol dire mobilità elettrica, hanno trovato solo scontri accesi tra chi accusava una tecnologie rispetto all’altra senza via di soluzione. La riluttanza all’acquisto dell’auto elettrica sembrava risolvibile attraverso delle forme di incentivazione economica, necessaria per contrastare l’elevato costo dei veicoli di origine europea e nord americana. Il risultato non ha favorito però né l’utente né il produttore. In questo scenario entrano così a gamba tesa, come direbbero in ambito calcistico, i produttori provenienti dal lontano oriente, Cina in testa. Il mercato dell’auto cinese presentava innumerevoli marchi propri, caratterizzati, fino a pochi anni prima, da qualità tecnica e da finiture molto scarse, con modelli pensati ad uso quasi esclusivo interno. Si è presentata però una opportunità per loro: partendo quasi da zero potevano investire, sostenuti dallo stato, ingenti capitali nelle nuove tecnologie. Le materie prime le avevano o potevano procurarsele ed elaborarle a basso costo, mentre le fabbriche le hanno installate velocemente. Colpo di scena finale! Dato che stavamo già realizzando da loro vari modelli e componentistiche delle nostre auto, avevano anche possibilità di acquisire velocemente il nostro know-how e, quando questo non era sufficiente, hanno ingaggiato ingeneri, tecnici e anche designer di derivazione europea. Nel giro di pochi anni hanno invaso il mercato, dalle batterie fino alla proposta di nuovi marchi e veicoli. La qualità sta salendo tutt’ora molto velocemente e questo potrebbe spostare l’ago della bilancia, si legga produzione e flussi di denaro nostro, verso la concorrenza, riducendo la produzione europea con tutto quello che ne consegue in termini di perdita di posti di lavoro e di indotto.

Se a livello industriale la soluzione è stata controprodunecnte, a livello di diffusione dei veicoli la situazione non è certo più rosea. Il parco veicoli circolante è molto vecchio, con una percentuale di veicoli dall’Euro 4 in giù ancora troppo consistente. Demonizzare auto e relativi possessori non è certo favorevole al passaggio verso l’elettrico o a veicoli più nuovi. Chi guida un’auto di venti e più anni fa non lo fa perché gradisce il vintage o le young timer, ma nella maggior parte dei casi parliamo di utenti che economicamente non potrebbero sostenere il passaggio a un nuovo o anche ad un usato di tipo elettrico. Prezzi sul nuovo facilmente superiori a 30-35 mila euro scoraggiano dall’acquisto. Ritorna in gioco la Cina con la sua proposta di veicoli a costo inferiore. Qualità ridotta? Problemi sull’assistenza post vendita? Critiche verosimili, ma quando è possibile risparmiare non poche centinaia, ma parecchie migliaia di euro, possiamo farcene una ragione. Le percentuali di vendita aumentanto: 1%, poi 2%, poi 3% e così via. Molti dicono di non allarmarsi, si tratta di una bolla, i numeri sono ancora piccoli, solo che tutto è legato. Una fetta di mercato va sempre più a loro e ciò implica una riduzione dei volumi di produzione nostri con tutto quello che ne consegue. Loro acquistano esperienza ed entrano nel nostro mercato sempre più risolvendo anche i problemi strutturali di logistica.

Una soluzione: rivedere la partecipazione al Green Deal da parte dell’automobile.

La paura ha avuto riscontri concreti. E’ necessario intervenire e ristudiare e riproporre il passaggio alla mobilità elettrica per cercare di salvare il mercato e l’industria dell’automobile europea.

Il comunicato di oggi (clicca qui per leggerlo in versione integrale) non cambia le finalità ma le modalità, agendo con uno schema che, pur rimanendo simile al precedente introduce notevoli novità.

Prima di procedere sfatiamo un mito: il Green Deal non ha riabilitato il motore termico, ma ne determina l’uscita di scena in modo un poco più graduale e, si spera, in linea con la possibilità di cambiamento reale dell’industria e del mercato.

“… Il pacchetto odierno mantiene un forte segnale di mercato per i veicoli a emissioni zero (ZEV), offrendo al contempo all’industria una maggiore flessibilità per raggiungere gli obiettivi di CO2, e sostiene i veicoli e le batterie prodotti nell’Unione europea. …”. Questo estratto è uno dei punti principali che era sfuggito di mano nella precedente versione. Il traguardo di mobilità tutta elettrica c’è ancora ma risulta di primaria importanza salvaguardare e potenziare una filiera europea del settore.

Tra le varie proposte contenute una di quelle più innovative passa attraverso le flotte aziendali: “… L’iniziativa sui veicoli aziendali sosterrà la diffusione di veicoli a zero e a basse emissioni. …”. Viene promossa velocemente la diffusione di veicoli elettrici nelle flotte aziendali. Queste vetture percorrono normalmente un numero di km all’anno elevati e, dopo un paio di anni di utilizzo, vengono proposti a basso costo ai dipendenti che le hanno guidate o entrano nel mercato dell’usato. In questo modo un numero non trascurabile di vetture elettriche usate, a costi moderati, passerebbe velocemente dalle società ai privati, innescando, così le intenzioni, un effetto volano utile alla loro diffusione.

I vincoli tecnici presenti fino a qualche anno fa sono in parte stati superati e, anche dopo molti chilometri, le batterie attualmente in commercio presentano dei gradi di efficienza e performance ancora elevati.

Altro settore rivisto e che sarà oggetto di potenziamento e incentivazione riguarda è quello commerciale, con “… un riesame delle norme vigenti in materia di emissioni di CO2 per autovetture e furgoni e una modifica mirata a quelle per i veicoli pesanti …”. Il settore furgoni e veicoli pesanti è infatti uno di quelli al momento più ostici da ammodernare, con problematiche legate ancora di più alle autonomie e alle velocità di ricarica, fattori legati a loro volta alle dimensioni e soprattutto ai pesi del pacco batterie che potrebbe inficiare le capacità di trasporto in termini di massa dei veicoli stessi.

Gli interventi strutturali, oltre a possibili incentivi e soluzioni burocratiche per favorire la produzione dei veicoli riguarderà le soglie di abbassamento della CO2 prodotta da ogni marchio nel proprio parco macchine a listino. La UE comunica infatti che

“… A partire dal 2035 le case automobilistiche dovranno rispettare un obiettivo di riduzione delle emissioni dallo scarico del 90 %, mentre le restanti emissioni del 10 % dovranno essere compensate mediante l’uso di acciaio a basse emissioni di carbonio prodotto nell’Unione o da carburanti elettronici e biocarburanti.

Ciò consentirà agliibridi plug-in (PHEV), agli Range Extender, agli ibridi leggeri e ai veicoli con motore a combustione interna di svolgere ancora un ruolo oltre il 2035, oltre ai veicoli completamente elettrici (EV) e a idrogeno. …”.

Il termico non è stato abbandonato ma verrà integrato meglio nel nuovo passaggio alla mobilità elettrica, garantendo un attimo di respiro ai grandi e piccoli produttori del nostro continente.

La problematica legata alla scarsa diffusione dovuta ai costi elevati viene esplorata e, si spera risolta, lavorando specificatamente sulle piccole utilitarie.

“… Prima del 2035 i costruttori di automobili potranno beneficiare di “supercrediti” per le piccole auto elettriche a prezzi accessibili prodotte nell’Unione europea. Ciò incentiverà la diffusione sul mercato di modelli di veicoli elettrici più piccoli. Per quanto riguarda l’obiettivo 2030 per le autovetture e i furgoni, è introdotta un’ulteriore flessibilità consentendo l'”indebitamento bancario”per il periodo 2030-2032. È concessa un’ulteriore flessibilità per il segmento dei furgoni, in cui la diffusione dei veicoli elettrici è stata strutturalmente più difficile, con una riduzione dell’obiettivo di CO2 per il 2030dal 50 % al 40 %. …”.

In particolare

“… L’Omnibus introduce anche una nuova categoria di veicoli nell’ambito dell’iniziativa Small Affordable Cars,che copre veicoli elettrici fino a 4,2 metri di lunghezza. Ciò consentirà agli Stati membri e alle autorità locali di sviluppare incentivi mirati, stimolando la domanda di veicoli elettrici di piccole dimensioni prodotti nell’UE. …”.

Dal punto di vista industriale

“… Con 1,8 miliardi di EUR, il Battery Booster accelererà lo sviluppo di una catena del valore delle batterie interamente realizzata nell’UE. Nell’ambito del Battery Booster, 1,5 miliardi di euro sosterranno i produttori europei di celle per batterie attraverso prestiti senza interessi. Ulteriori misure politichemirate sosterranno gli investimenti, creeranno una catena del valore europea delle batterie e promuoveranno l’innovazione e il coordinamento tra gli Stati membri. Tali misure miglioreranno la competitività di costo del settore, assicureranno le catene di approvvigionamento a monte e sosterranno una produzione sostenibile e resiliente nell’UE, contribuendo a ridurre i rischi derivanti dagli attori dominanti del mercato mondiale. …”.

A questi si aggiungono altri 706 milioni di euro all’anno per le industrie per favorire il progressivo avvicinamento ai traguardi del 2035 e del 2050.

La strategia delineata sembra essere finalmente quella corretta. Si vuole promuovere una nuova tecnologia se, e solo se, siamo in gradi di sviluppare e gestire tutta la filiera di produzione in Europa. Ciò vuol dire rilanciare l’economia, favorire l’occupazione e la crescita sociale, oltre a supportare effettivamente l’ambiente.

La cultura dell’automobile, la grande trascurata.

L’UE forse ha trovato il giusto compromesso dal punto di vista tecnico, industriale e sociale basato sui grandi numeri, ma ha trascurato completamente cosa è l’automobile nella società. Intorno ad essa ruota un altro mondo che non è quello industriale, ma è quello fatto di piccoli e grandi appassionati che vedono in essa non solo un mezzo di trasporto. Visitate una fiera od un evento di settore per rendersene conto!

Oltre a ciò non bisogna dimenticare il simbolo che essa rappresenta: lusso, sportività, emozioni, fascino, arte, tecnologia, e quant’altro ogni appassionato riversa in essa. C’è un settore, piccolo ma comunque attivo, in cui piccole case automobilistiche artigianali, dove artigianato diventa sinonimo di cura maniacale dei dettagli, producono vere e proprie opere d’arte su ruote. Guardiamo in Italia, ma nel resto dell’Europa la situazione è simile, dove case automobilistiche come Lamborghini, Pagani, Ferrari, Maserati e altre ancora producono veicoli invidiati, copiati e studiati in tutto il mondo. Un po’ per questioni di storia, un po’ per questioni di clientela, queste case automobilistiche rischiano nel passaggio all’elettrico. Chi acquista un’auto di questo tipo vuol sapere guida un auto che urla e sputa benzina. V12, V8, aspirato, turbocompresso: queste sono le parole chiave che distinguono questi veicoli a cui che le possiede non vuole rinunciare.

Ad un gradino più basso ci sono altri veicoli che subiscono una sorte simile, trattasi delle sportive ad elevata potenza sempre a motore termico che hanno un mercato proprio che difficilmente potrebbe passare ad un freddo elettrico. Perché questi settori sono stati trascurati? I volumi di vendita permettono alle case automobilistiche di distinguersi nel settore. Non parliamo di milioni di veicoli venduti, ma di un numero sufficiente a garantire comunque una filiera e un modo di vivere l’auto molto specifico.

Il giusto compromesso potrebbe essere di salvaguardare queste realtà, vanto di molti territori e genti, parte della storia stessa di alcune realtà, permettendo a loro di superare i limiti imposti dalla normativa europea, facendoli inserire in settori speciali.

Chissà alla fine cosa succederà…


Di Filippo Miotto, LeggendAuto, pubblicato il 16 dicembre 2025.


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