Tuning e JDM, un viaggio nel Giappone

di Filippo Miotto, LeggendAuto, pubblicato il 17 novembre 2025.

Tuning e JDM, un viaggio nel Giappone.

Un mondo affascinante, lontano da noi nello spazio e negli stili di vita, simbolo della modernità più sfrenata che, unita alle tradizioni antiche da cui sembra non voglia staccarsi, ha creato con un connubio che poche culture sono riuscite a fare proprio. Questo è il Giappone.
Quest’anima, che tanto ci affascina, è penetrata anche nel mondo dei motori creando un mercato molto particolare a cui molti guardano con interesse e invidia. Negli anni lo stile costruttivo delle case automobilistiche di questo paese ha incuriosito i costruttori di tutto il mondo. L’affidabilità dei vari modelli, quelli nati e cresciuti in Giappone, come Toyota, Honda, Nissan è indiscussa. Le linee passano dal tradizionale al futuristico, alcune con soluzioni difficili da capire per noi europei, tali da poterci ammaliare oppure volerle denigrate. Le prestazioni poi non sono da meno: i motori per l’uso quotidiano sono votati ai bassi consumi ma con prestazioni comunque interessanti, mentre quelli più spinti competono ai primi livelli con la concorrenza mondiale.
Entrando nel dettaglio dei veicoli e dei motori pensati per chi vuole una vita più adrenalitica si nota subito che il concetto alla base dei modelli di questo settore è ben definito: i motori di serie, nati già spinti a dovere, vengono in realtà già pensati per essere “rimaneggiati” a dovere per essere ulteriormente potenziati.
E qui entriamo nel vivo dell’argomento! Se già la base di partenza è buona, perché non “ritoccare” il tutto e personalizzare per bene la nostra vettura rendendola specchio della nostra anima e ottenere alla fine un pezzo unico?
Scopriamo il mondo del tuning del Paese del Sol Levante!

Contenuti dell’articolo.

Un articolo lungo, ma non esaustivo. Il mondo del tuning “Made in Japan” non può essere contenuto in un articolo, ma almeno si possono capire le origini per rimanere ancora più affascinati dal presente. Ecco i contenuti che vi propongo:

  1. Tuning e JDM, un viaggio nel Giappone.
  2. Contenuti dell’articolo.
  3. La storia delle JDM tra cultura e fenomeno di costume.
  4. Dalle radici del tuning alle supercar degli anni ‘90.
  5. Lo spirito Bosozoku si evolve.
  6. L’epoca più recente.
  7. Il JDM del nuovo millennio.
  8. Dal kit aerodinamico alla preparazione meccanica.
  9. La prossima puntata: l’era moderna

La storia delle JDM tra cultura e fenomeno di costume.

Il mondo giapponese delle elaborazioni non è semplice da comprendere, tra stili differenti e un modo di pensare l’auto unico che negli anni ha influenzato questo settore anche a livello mondiale. I modelli oggetto del tocco magico di questi artigiani dei motori spaziano dalle auto del mercato interno, come Nismo e Mugen, a quelle più iconiche provenienti da Europa e Nord America, come per RAUH-Welt BEGRIFF (RWB). Se vogliamo iniziare a interpretarlo bisogna così partire dalla sua storia, comprendendo prima di tutto cos’è stato e cos’è ora il JDM.
L’acronimo JDM indica il “Japanese Domestic Market”. Questo termine ha cambiato significato nel tempo identificando all’inizio le auto nate e pensate per il solo mercato interno, quello del Giappone naturalmente, quindi con guida a destra e con i motori conformi per normativa e caratteristiche all’uso interno.

Il fascino esotico di alcuni modelli, unitamente al volersi distinguere da parte dei loro possessori, ha portato sempre più persone ad interessarsi a questo mercato comportando un allargamento del suo significato. Attualmente, infatti, è erroneamente dedicato a tutti i modelli delle case automobilistiche nipponiche, magari studiate e adattate anche per la vendita in altri paesi, Europa e Nord America in primis. Molte di queste auto, per le loro stesse caratteristiche, si mostrano molto benevole nei confronti delle elaborazioni, dalla semplice estetica fino al potenziamento di motori e telai per garantire prestazioni più elevate.
La stessa evoluzione è avvenuta per il tuning, nascendo con peculiarità talmente specifiche da essere legate alla stessa evoluzione della cultura e storia del Giappone. L’apertura storica verso costumi e abitudini di Europa e Nord America, ha coinvolto anche l’evoluzione del settore elaborazioni venendo influenzato ed influenzando enormemente l’approccio al tuning anche in occidente. Anche se esportato e sdoganato all’estero, è rimasto però fedele ai propri principi o riadattando stili stranieri, troppo lontani dalla propria cultura in fatto di motori, e non solo.

Fonte immagini: Gauge Magazine, JDM buy sell.

Dalle radici del tuning alle supercar degli anni ‘90.

Il tuning in Giappone ha radici profonde che si mescolano con l’evoluzione sociale e motoristica del dopoguerra. Uscito dalla Seconda Guerra mondiale completamente in ginocchio ha mostrato una grande energia rilanciandosi sul piano economico e industriale cercando di rimanere comunque legato alle sue tradizioni millenarie. Naturalmente tra questi settori trainanti anche quello automobilistico ebbe la sua parte.
Negli anni ’50 –’70 del secolo scorso queste contraddizioni portarono alla nascita del movimento chiamato “Bōsōzoku” in cui i giovani che ne erano i promotori, definendosi ribelli, portarono le loro inquietudini e la loro voglia di ritagliarsi la loro parte, in un sistema a cui non si sentivano di appartenere, anche in ambito motoristico. La loro proposta partì con interventi, prima sulle motociclette poi sulle automobili, a cavallo tra alcuni miti americani che stavano arrivando e una cultura in ambito motoristico che già era propria ma che era probabilmente solo sopita. Le loro modifiche iniziali erano estreme e provocatorie, con alettoni esagerati, marmitte lunghissime e carrozzerie vistosamente modificate. Questo spirito di ribellione e di sfida alle convenzioni gettò le basi per la successiva e più sofisticata cultura del tuning.

Fonte immagini: Yokogao Magazine.

Dagli anni ’60 – ’70 l’industria automobilistica giapponese iniziò però a maturare una identità ancora più esclusiva aprendosi sempre più al mercato estero influenzandolo e venendo influenzato dallo stesso. Le competizioni motoristiche fecero il resto.
In questi anni modelli iconici iniziano ad affacciarsi sul mercato e ad attirare le attenzioni mondiali. Partiamo dalla Nissan-Datsun 240Z (S30), considerata la prima vera sportiva di Nissan che fu prodotta tra il 1969 e il 1978. Caratterizzata da un design elegante ispirato chiaramente alla Ferrari 250 GTO, adottava un motore a 6 cilindri in linea da 2,4 litri con 151 CV e una velocità massima superiore ai 200 km/h. Proseguiamo poi con Mazda e la sua Cosmo Sport 110S del 1967, la prima auto di produzione al mondo ad avere un motore Wankel a doppio rotore. Proprio il motore Wankel sarà uno dei caratteri distintivi di questa casa, una soluzione affascinante, lodata, bistrattata che, tra alti e bassi, è disponibile e studiato ancora adesso. Cito ancora, non solo per dovere di cronaca, anche Toyota con la sua coupé 2000 GT, sviluppata in collaborazione con Yamaha Motor Co..

Le basi sono state gettate. Semplici berline iniziano ad essere riviste dalle stesse case produttrici per renderle più attraenti giocandosi la carta della sportività. Le linee iniziano a cambiare. Le competizioni sportive vogliono entrare nel mondo delle auto di serie.

Gli anni ’80 e ’90 arrivano in un attimo e tutto cambia: siamo entrati nell’età dell’oro. Il mondo guarda al Giappone e lui risponde con modelli che sono rimasti nel nostro immaginario. Toyota, Nissan, Honda, Mazda, Mitsubishi giocano i loro assi producendo sportive leggendarie e i loro nomi riecheggiano ovunque spaventando le sportive europee e americane più blasonate. Sono nate Supra, Skyline GT-R, NSX, RX-7 e Lancer Evo, le vetture perfette per essere modificate. Ma l’elenco dovrebbe essere molto più lungo!

Lo spirito Bosozoku si evolve.

Ripartiamo ora dalle origini.
Lo spirito “Bōsōzoku” iniziò ad evolversi nella cultura Zokusha (族車), nota anche come ”auto delle gang”, uno stile che prese tutto ciò che il primo rappresentava e lo espanse. Le auto erano identificabili da telai più grandi, appendici sempre più grandi e sound ancora più incisivo diventando la massima espressione del movimento. Basti pensare che una chiara fonte di ispirazione derivava dalle competizioni in cui auto di serie venivano opportunamente elaborate per aumentare tenuta di strada e prestazioni pure.
Il passaggio da “Bōsōzoku” a “Zokusha “ ha però generato anche una serie di stili diversi dai capostipiti, permettendo ad ognuno di trovare quello che lo rappresentava di più o, perché no, crearne uno proprio.
Lo stile Shakotan (シャコタン) non è interessato alle prestazioni ma più ad una estetica minimalista volendo arrivare a “raschiare l’asfalto” ma mantenendo però linee generali pulite e, nel complesso, sempre eleganti. In contrapposizione al Shakotan c’è invece lo stile Grachan (グラチャン), abbreviazione di “Grand Championship”, chiaro omaggio al periodo d’oro delle corse automobilistiche giapponesi del Gruppo 5. Le caratteristiche principali sono chiaramente identificabili in body kit massicci e squadrati, passaruotae parafanghi esageratamente larghi e livree di chiara ispirazione corsaiola. Lo stile Kyusha (旧車), ossia “auto d’epoca”, guarda invece ai miti dell’automobilismo giapponese (ricordatevi che siamo negli anni ’70 più o meno). Nissan Fairlady Z e Mazda RX-3 sono molto presenti in questa linea di pensiero, tributi a un’epoca passata sottoposte a specifici ritocchi moderni. La nostalgia ha fatto nascere il restomod.
Simile alla Zokusha ma nato con principi e finalità diverse è lo stile Kaido Racer (街道レーサー). Lo spirito di ribellione è passato e la personalizzazione delle auto diventa anche tecnicamente ragionata. Le auto sono pensate come delle Legal Race Car. Le modifiche sono ora ispirate alle competizioni, la componentistica è di chiara derivazione corsaiola. Le auto devono ancora sbalordire ma avere anche un senso vero e proprio se portate a correre.

Fonte immagini: Yokogao Magazine, Gordon Cheng, Izanami Wheel.

L’epoca più recente.

L’interesse ormai chiaro verso una elaborazione che non fosse solo estetica ma anche e soprattutto meccanica spinse vari produttori a sviluppare componenti specifiche ad alte prestazioni. Le stesse case madri ormai creavano i loro modelli pensandoli già sottoponibili ad interventi specifici di potenziamento. In parallelo nascono anche i primi club di corse clandestine ad alta velocità sulle autostrade notturne.
Siamo ormai giunti nel nuovo millennio. L’automobilismo giapponese è ormai affermato in tutto il mondo, conosciuto, apprezzato e affascinante per la proposta di auto sportive che viaggiano in tutto il mondo. Su questa onda il tuning tipico giapponese sbarca anche all’estero e viene inglobato e influenzato dai mercati americani e europei. Il cinema con le sue illusioni fa il resto e la saga di Fast & Furious ne è l’artefice principale, ponendo in risalto lo scontro filosofico-motoristico, tra il tuning “made in USA” e quello nipponico. Se il primo punta sull’esagerazione in termini di potenza guardando alle muscle-car, il secondo vuole aumentare le prestazioni con una più equilibrata collaborazione tra tutti gli aspetti del veicolo. L’estetica rimane un altro territorio di scontro, sempre in bilico tra aumento delle prestazioni aerodinamiche e solo cura dell’apparire.

Il JDM del nuovo millennio.

Il JDM si evolve ancora rispetto a quanto descritto poco sopra derivando e influenzando caratteristiche tipiche degli sport motoristici. L’importante è sempre che si prendano auto di serie e che si personalizzino a proprio piacimento.
Il “pure JDM” rappresenta la purezza di quest’arte, restando fedele al “mercato domestico giapponese”. Non solo l’auto deve essere rigorosamente giapponese, ma anche tutta la componentistica utilizzata deve rigorosamente derivare da produttori giapponesi e portare ad una estetica pulita e sobria, con piccole modifiche al motore e al telaio mirate a migliorare le prestazioni e l’aerodinamica senza creare mostri su ruote da guidare solo in pista.
Il “drift style”, come suggerisce il nome, si concentra sulla preparazione di auto destinate alle derapate controllate, il drifting, da fare non solo in pista. I kit aerodinamici diventano più aggressivi con assetto ribassato, ma proprio tanto, cerchi a canale rovesciato e spesso pneumatici maggiorati con conseguente allargamento anche dei passaruota. L’interno questa volta è a contrasto con l’esterno diventando più essenziale. Aprendo lo sportello troviamo sedili a guscio, roll-bar e manometri e altra strumentazione aggiuntiva, digitale o analogica non interessa.
Nel “time attack”, o “Circuit style”, o “Dori-Dori”, tutto è volto alla massima performance sul giro in pista. In tal caso le auto adottano dei widebody importanti, alettoni vistosi (GT-Wing), splitter e diffusori, il tutto unito alla ricerca dell’alleggerimento e ad una migliore organizzazione dell’auto. Tutto quindi deve essere funzionale all’ottenimento di prestazioni migliori. Estetica sì, ma solo se utile allo scopo.
Discorso a parte è il “Vip Style”, o Bi-ppu, che utilizza come base di lavoro non l’auto sportiva ma la berlina di lusso per esaltarne ancora di più il messaggio di status e presenza che questi veicoli, già nella configurazione di serie, trasmettono. Il lavoro fatto è comunque, anche in questo caso, volto a far emergere anche la loro anima sportiva. L’assetto diventa estremamente ribassato, associandolo spesso alle sospensioni pneumatiche, i cerchi diventano cromati o lucidati con diametri molto grandi, angoli di campanatura (camber) esagerati, mentre il resto della carrozzeria diventa pulita o con kit discreti.

Una cultura, questa del tuning, di cui è difficile comprenderne l’ampiezza. Basti pensare che è diventata anche turismo, con varie agenzie che propogono tour a bordo di auto elaborate dai grandi artigiani giapponesi (fonte: Get Your Guide).

Dal kit aerodinamico alla preparazione meccanica.

Attenzione maniacale e qualità dei componenti, queste sono le parole d’ordine!
Molte le offerte nell’aftermarket, con addirittura dei preparatori talmente specializzati e con un grado di qualità così alta da entrare anche nel listino ufficiale delle grandi case o da essere nati da delle loro costole per poi muoversi liberamente sul mercato. In questi casi specifici questi preparatori sviluppano anche competenze specifiche nel settore corse, offrendo componenti specifiche per portare queste vetture in pista, non per divertimento, ma come partner delle scuderie che partecipano ai campionati ufficiali. Due nomi su tutti: Mugen e Nismo, due nomi che esprimono due concetti di tuning diverso.

Mugen è specializzato in auto Honda proponendo interventi sia su auto più tranquille sia, e soprattutto, su quelle Type-R che già di loro posseggono un’anima non comune. Interventi tecnici e aerodinamici ovunque per auqmntare ancora di più le potenzialità delle sue hot hatch , sia per portarle sulle comuni strade sia per la parte più sportiva. Discorso analogo può essere fatto anche da Nismo per gli interventi nel mondo Nissan. Nismo, però, pur giungendo a risultati ottimi in termini di miglioramento delle caratteristiche sportive dei veicoli di base (ricordo che propone interventi fin sulla Skyline GT-R R35), ha un approccio estetico meno esagerato rispetto a Mugen. Altra differenza importante è riscontrabile nel trovare le Nismo nel listino ufficiale di Nissan, mentre Mugen, anche se riconosciuto da Honda, è tutto aftermarket con un proprio listino.

La prossima puntata: l’era moderna

Le componenti disponibili sono tantisstime e i nomi che si alternano specializzandosi su singole parti o proponendo a listino veicoli “interi” sono tantissimi, così tanti che indovinate un po’ di cosa tratterrà il prossimo articolo?


Di Filippo Miotto, LeggendAuto, pubblicato il 17 novembre 2025.

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